Buste paga, cosa cambia dal 2024: aliquote Irpef e decontribuzione

Molte le novità attese per i lavoratori dipendenti a partire dal prossimo anno.

Sono molte le novità attese per i lavoratori dipendenti a partire dal 2024, sia sul fronte della riforma degli scaglioni a definizione delle aliquote Irpef sia su quello dello sgravio contributivo, come sottolinea Money.it. Tali cambiamenti sono volti a far percepire al lavoratore un netto in busta paga più alto e ridurre il noto cuneo fiscale. Per i dettagli si rimane in attesa della discussione in aula, in programma il 10 luglio, circa il testo della riforma fiscale, dopo l’ok ricevuto dalla Commissione Finanze della Camera.

Al momento sarebbe prevista, a partire dal 2024, la riduzione da quattro a tre aliquote Irpef, come confermato da Meloni, mediante un allargamento del primo scaglione. Per conoscere la decisione definitiva circa la riforma fiscale, tuttavia, occorrerà aspettare la prossima Legge di Bilancio.

Ma altre novità sono in vista a tema busta paga, come l’ipotesi di una flat tax al 15% da applicare su straordinari, tredicesima e premi di produzione, a beneficio – si ipotizza oggi – dei redditi più bassi, fino a 20.000 euro. Le imposte dovrebbero poi crescere gradualmente al crescere del reddito del dipendente, fino ad assestarsi alle aliquote ordinarie oggi in vigore.

Infine, troviamo il fronte della decontribuzione, un beneficio di cui molti lavoratori dipendenti stanno godendo già dal 2023 e che dovrebbe essere riconfermato per il prossimo anno. Questo consiste in una riduzione dei contributi dovuti mensilmente dal dipendente e, di conseguenza, in un aumento del netto percepito in busta paga. Per il 2023, si ricorda, da gennaio a giugno lo sgravio è stato del 2% per i redditi fino a 35.000 euro e del 3% per i redditi fino a 25.000 euro, mentre dal mese di luglio fino a dicembre, al netto della tredicesima, la percentuale di riduzione sarà incrementata di un ulteriore 4%, per uno sgravio totale del 6% o 7%, a seconda delle casistiche.

fonte: ADNKRONOS

Finocchiaro (Pres. Confedercontribuenti): Aumenta al 48% l’imposizione fiscale. Solo spot televisivi la diminuzione della pressione del fisco.

I contribuenti italiani che versano fino all’ultimo centesimo tutte le tasse, le imposte e i contributi previdenziali, sopportano una pressione fiscale reale del 48 per cento: si tratta di quasi 6 punti in più rispetto al dato ufficiale, che nel 2018 si è attestato al 42,1 per cento.  La pressione fiscale ufficiale è data dal rapporto tra le entrate fiscali ed il Pil prodotto in un anno (nel 2018 si è attestata al 42,1 per cento). Se, però, dalla ricchezza del Paese (Pil) sottraiamo la quota riconducibile al sommerso economico e alle attività illegali che, non producono alcun gettito per le casse dello Stato, il prodotto interno lordo diminuisce (quindi si “contrae” il valore del denominatore) facendo aumentare il risultato che emerge dal rapporto tra il gettito fiscale e il Pil (48 per cento).  Il drammatico dato che emerge, dichiara il Presidente di Confedercontribuenti, Carmelo Finocchiaro, dimostra che fra i fatti reali e gli spot televisivi esiste una gran bella differenza, con il risultato drammatico che le imprese italiane e le famiglie continuano a vedersi aumentare il salasso fiscale. Per abbassare le tasse nel 2020 dobbiamo recuperare almeno 33 miliardi.

 

Rimborsi IRPEF da 730 anche oltre scadenza

Con la sentenza n. 17956/2019 la Corte di Cassazione ha stabilito che ildiritto al rimborso IRPEF permane in capo al contribuente anche qualora questo sia il risultato di una dichiarazione dei redditi integrativa presentata, mediante modello 730, oltre il termine ordinario. Nel caso esaminato, i giudici hanno accolto il ricorso con istanza di rimborso della maggiore imposta versata, impugnando il silenzio rifiuto che si è formato sulla stessa a seguito dell’inerzia dell’Amministrazione.Come opporsi alla maggiore pretesa tributaria

Il contribuente aveva omesso di inserire nella propria dichiarazione dei redditi alcuni oneri deducibili per legge e aveva presentato in ritardo la dichiarazione integrativa. Quindi, aveva richiesto in sede di giudizio il rimborso alle Entrate.

I giudici gli hanno dato ragione, spiegando che il contribuente che abbia dichiarato redditi superiori a quelli dovuti ha la possibilità, anche in sede contenziosa, di opporsi alla maggiore pretesa tributariadell’amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull’obbligazione tributaria

In sostanza, il giudice di merito non aveva fatto corretta applicazione dei principi sopra riportati, in base ai quali avrebbe dovuto esaminare l’istanza di rimborso e valutarne la tempestività e fondatezza, non trovando ostacolo nel fatto che il contribuente avesse presentato la dichiarazione integrativa tardivamente.

La Cassazione ricorda inoltre che il rimborso dei versamenti diretti di cui all’art. 38 del D.P.R. n. 602/1973 è esercitabile entro il termine di decadenzadi 48 mesi dalla data del pagamento, indipendentemente da scadenze e modalità della dichiarazione integrativa di cui all’art. 2, comma 8 bis, D.P.R. n.322/1998.

Fonte: pmi.it

Pressione Fiscale in aumento

Con il Pil in frenata, rispetto alle previsioni elaborate dai principali istituti economici qualche mese fa, già da quest’anno la pressione fiscale sui contribuenti italiani è destinata a crescere. Lo sostiene la Cgia di Mestre. “Per la conferma, comunque, dovremo attendere la pubblicazione della nota di aggiornamento al Def prevista entro il prossimo 27 settembre – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi degli Artigiani di Mestre, Paolo Zabeo -. In effetti, a seguito del rallentamento del Pil, e’ molto probabile che nel 2018 la pressione fiscale sarà superiore al 42,2% previsto a inizio anno. Se dovesse tornare a salire addirittura oltre il risultato conseguito nel 2017, invertiremmo la tendenza che era iniziata nel biennio 2012-2013, anni in cui la pressione fiscale nazionale aveva toccato il record storico del 43,6%”.
Tra le imposte che gravano maggiormente sui contribuenti italiani, la Cgia ricorda quelle sul reddito (Irpef e addizionali comunali/regionali Irpef) che alleggeriscono le tasche delle persone fisiche (lavoratori autonomi, lavoratori dipendenti, pensionati, etc.) per circa 186,5 miliardi di euro all’anno. Anche le societa’ di capitali (Spa, Srl, etc.) sono sottoposte a un prelievo sul reddito (Ires) significativo che vale circa 34 miliardi di euro all’anno . “Per ridurre strutturalmente le tasse dobbiamo in misura corrispondente tagliare la spesa pubblica improduttiva – segnala il segretario della Cgia, Renato Mason – e nonostante gli effetti della spending review siano stati inferiori alle attese, il carico fiscale complessivo ha iniziato a scendere. Certo, se da qualche anno avessimo abbracciato la strada del federalismo fiscale, molto probabilmente la contrazione sarebbe stata maggiore. Le esperienze europee, infatti, ci dicono che gli stati federali, come la Germania e la Spagna, hanno una spesa pubblica nettamente inferiore ai paesi unitari e una qualita’/quantita’ dei servizi offerti ai cittadini molto superiore a quella degli altri”. Il peso delle tasse, segnala ancora la Cgia, non si abbatte solo sui redditi ma anche su beni che per ogni cittadino sono irrinunciabili, come la casa o l’automobile. Secondo gli ultimi dati disponibili, l’associazione nazionale Filiera Industria Automobilistica (Anfia) stima in 73 miliardi di euro il carico fiscale che a vario titolo grava sui possessori di autoveicoli. Un’elaborazione della Cgia su dati Istat indica in quasi 40 miliardi di euro il carico fiscale prelevato ogni anno ai proprietari di tutti gli immobili presenti nel Paese (case, negozi, capannoni, uffici, etc.).
Dal 2014, comunque, ricorda l’associazione, la pressione fiscale in Italia e’ tornata a scendere grazie alla crescita del Pil e alla conseguente introduzione del cosiddetto bonus Renzi (maggio 2014), all’eliminazione dell’Irap dal costo del lavoro (2015) e alla cancellazione della Tasi sulla prima casa (2016). Oltre a queste misure, nel 2017 hanno concorso alla contrazione del peso fiscale e contributivo anche la riduzione dell’Ires (imposta sui redditi delle societa’ di capitali) dal 27,5 al 24 per cento; i super-ammortamenti (al 140 per cento); l’aumento delle deduzioni Irap; l’innalzamento delle soglie per accedere al regime dei minimi e la proroga del parziale esonero contributivo a carico delle imprese che hanno assunto personale a tempo indeterminato. Per la Cgia, tra gli effetti delle misure strutturali e di quelle temporanee appena richiamate, lo sgravio complessivo annuo ammonta a oltre 30 miliardi di euro. Ma non per le partite Iva. La stragrande maggioranza dei benefici introdotti dal governo Renzi/Gentiloni, si sottolinea, non ha interessato il popolo delle partite Iva, in particolar modo coloro che non hanno dipendenti che, tra gli artigiani e i commercianti, sono il 70 per cento del totale. Pertanto, questo mondo produttivo, piegato dalla crisi dei consumi, dalle tasse eccessive e dalla stretta creditizia praticata dalle banche, attende con grande fiducia l’introduzione della flat tax che dovrebbe essere introdotta con la prossima legge di Bilancio. Per la Cgia, inoltre, le micro imprese pagano piu’ delle grandi E nonostante la dimensione aziendale di queste realta’ sia molto contenuta, il contributo fiscale ed economico reso al Paese e’ rilevantissimo. In materia di imposte e tasse, ad esempio, nel 2017 i lavoratori autonomi e le piccolissime imprese (per intenderci solo quelle sottoposte agli studi di settore), hanno versato al fisco 43,9 miliardi di euro (pari al 53 per cento del totale delle principali imposte versate dal sistema economico). Tutte le altre, prevalentemente medie e grandi imprese, hanno invece corrisposto “solo” 39,6 miliardi (il 47 per cento del totale).

Rottamazione Bis: Confedercontribuenti, mai avuto dubbi che era insostenibile per le imprese. Ora lo conferma Ruffini.

Per la rottamazione bis sono arrivate all’Agenzia delle Entrate circa 950 mila istanze da circa 840mila contribuenti per oltre 4 milioni di cartelle di valore complessivo di circa 14 miliardi di euro. Lo ha riferito alla commissione Finanze della Camera il direttore Entrate Ernesto Maria Ruffini. L’importo da pagare, al netto delle sanzioni e degli interessi, è di «circa 9 miliardi». La maggior parte delle domande (53%) si riferiscono a debiti sotto i 1.000 euro. Circa un quarto dei contribuenti (23%) ha scelto di pagare in un’unica rata. Poco più di un contribuente su 2 (il 56%) di chi ha fatto domanda di definizione agevolata delle cartelle con importi oltre 100mila euro ha poi effettivamente «aderito con un pagamento» alla rottamazione. Nel caso di debiti piccoli risulta invece una più alta adesione: sta pagando l’86% di chi aveva un debito entro i 1.000 euro e tra 1.000 e 1.0000 euro e il 77% di chi è nella fascia tra 10.000 e 50.000 euro. Quanto affermato dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate, conferma che cosi’ come è stata prevista la rottamazione non poteva certamente servire a far pagare le imprese. Il nuovo governo non perda tempo ad affrontare la questione. E’ quanto dichiarato dal Presidente Nazionale di Confedercontribuenti, Carmelo Finocchiaro.