Auto elettriche e trasferte, in assenza di limitazioni il nodo della deducibilità

La deducibilità delle spese relative alla specifica trasferta effettuata con l’auto elettrica del dipendente, o noleggiata a tal fine, non è una fattispecie esplicitamente disciplinata e dunque non dovrebbe essere soggetta ad alcuna limitazione fiscale. Inoltre, la recente risposta a interpello 421 del 25 agosto 2023 (si veda il Sole 24 Ore del 26 agosto scorso), con cui le Entrate hanno chiarito che i rimborsi per le ricariche elettriche domestiche di auto concesse in uso promiscuo sono assoggettati a tassazione per il dipendente, apre ulteriori quesiti.

In particolare, sarebbero opportuni chiarimenti dell’Agenzia sulla possibilità o meno che tali rimborsi rientrino nell’ambito di applicazione della disciplina di cui all’articolo 40 del Dl 48/2023, che per il 2023 eleva la soglia d’esenzione dei fringe benefit a 3mila euro per i dipendenti con figli a carico, visto che la previsione ricomprende anche i rimborsi delle utenze domestiche di acqua, luce e gas.

Iniziamo dalla deducibilità delle spese. Se il dipendente è autorizzato a usare un veicolo di sua proprietà (o noleggiato allo scopo) per una specifica trasferta, la spesa deducibile è limitata, rispettivamente, al costo di percorrenza o alle tariffe di noleggio relative ad autoveicoli di potenza non superiore a 17 cavalli fiscali, oppure 20 se con motore diesel (articolo 95, comma 3, del Tuir).

In attesa di conferme ufficiali, essendo i cavalli fiscali collegati alla cilindrata del veicolo (a sua volta data dallo spazio cilindrico per il numero dei cilindri) e in assenza di ulteriori specifiche limitazioni, si dovrebbero ritenere deducibili al 100% dal reddito di impresa i relativi costi sostenuti per rimborsi chilometrici dei veicoli elettrici – di qualsiasi potenza – di proprietà del dipendente o noleggiati.

Con riferimento, invece, all’articolo 40 del Dl 48/2023, si evidenzia che lo stesso, oltre a innalzare il limite di esenzione dei fringe benefit dagli ordinari 258,23 a 3mila euro (per il 2023 e per i dipendenti con figli a carico), include nella predetta soglia anche «le somme erogate o rimborsate ai medesimi dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale».

Considerato che il consumo di energia delle auto elettriche «non rientra tra i beni e servizi forniti dal datore di lavoro (fringe benefit), ma costituisce un rimborso di spese sostenuto dal lavoratore» (risposta a interpello 421/2023) e come tale, salvo eccezioni, è imponibile per quest’ultimo, ci si domanda, con risposta che parrebbe positiva, se tali rimborsi possano non costituire reddito ove il loro valore totale, comprensivo degli altri benefit, sia nel 2023 non superiore alla citata soglia di 3mila euro, ricorrendone i presupposti.

Fonte: Il Sole 24 ore

Conservazione documenti sempre con firma qualificata

Ai fini fiscali, la sottoscrizione e conservazione delle dichiarazioni su supporto informatico, è valida con l’apposizione della firma elettronica qualificata, della firma digitale, o della firma elettronica basata sui certificati rilasciati dalle agenzie fiscali. Non è invece idonea l’apposizione della firma elettronica semplice, detta anche debole o leggera.

In nessun caso una firma elettronica «semplice» cioè non qualificata, digitale o avanzata, a prescindere dal processo di sua formazione, può dirsi idonea a garantire i requisiti che i documenti informatici (nativi tali o frutto di copia/dematerializzazione), specie se di natura fiscale, devono possedere sin dal momento della loro formazione.

È questa, in sintesi, la risposta dell’agenzia delle Entrate, pubblicata ieri, 30 agosto 2023, a seguito di una richiesta di consulenza giuridica.

Per l’agenzia delle Entrate, sono confermati i chiarimenti forniti con la risoluzione 23/E dell’8 aprile 2021 o la risposta n. 217 pubblicata il 26 aprile 2022 nell’apposita area del sito dell’agenzia delle Entrate.

I comportamenti che si devono tenere devono rispettare le norme contenute nel Dpr 22 luglio 1998 n. 322, che detta le modalità per la presentazione delle dichiarazioni dei redditi, dell’Iva, dell’Irap e dei sostituti d’imposta.

Considerato che le dichiarazioni sono documenti fiscalmente rilevanti, la loro conservazione deve avvenire nel rispetto della normativa vigente, cioè, qualora si tratti di documenti informatici (perché originati come tali o in essi trasformati nel rispetto delle prescrizioni di legge), in particolare, nel rispetto del decreto legislativo 7 marzo 2005 n. 82 (cosiddetto Codice dell’amministrazione digitale o Cad). I documenti informatici rilevanti ai fini tributari hanno le caratteristiche dell’immodificabilità, dell’integrità, dell’autenticità e della leggibilità. Inoltre, i documenti informatici devono essere conservati in modo tale che siano rispettate le norme del Codice civile, le disposizioni del codice dell’amministrazione digitale e delle relative regole tecniche e le altre norme tributarie riguardanti la corretta tenuta della contabilità.

Ai fini tributari, il procedimento di generazione delle copie informatiche e delle copie per immagine su supporto informatico di documenti e scritture analogici avviene, a norma dell’articolo 22, comma 3, del decreto legislativo 7 marzo 2005 n. 82, e termina con l’apposizione della firma elettronica qualificata, della firma digitale, o della firma elettronica basata sui certificati rilasciati dalle agenzie fiscali.

Nel rispetto delle norme contenute nel Codice dell’amministrazione digitale (Cad), il documento informatico soddisfa il requisito della forma scritta e ha l’efficacia prevista dall’articolo 2702 del Codice civile quando vi è apposta una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata.

Per l’agenzia delle Entrate, deve perciò escludersi l’idoneità ai fini tributari – a norma sia del Dpr 322/1998, sia di altre previsioni, fatta salva una diversa espressa indicazione del legislatore – di qualsiasi procedura che preveda l’utilizzo di una firma elettronica «semplice» (cioè non qualificata, digitale o avanzata).

La riforma fiscale e le tre aliquote Irpef

La riforma fiscale entra nel vivo e porta l’Irpef a tre scaglioni, con l’obiettivo di transizione verso una flat tax universale. Ecco i dettagli della riforma e le sue implicazioni sulla tassazione dei redditi.

Una svolta epocale si profila nell’orizzonte fiscale italiano con l’entrata in vigore della riforma dell’Irpef a tre scaglioni. Questo ambizioso progetto, delineato nell’articolo 5 del disegno di legge delega sulla riforma fiscale approvato dal Parlamento, è destinato a ridefinire l’imposizione sui redditi delle persone fisiche. Questa riforma mira a trasformare il sistema impositivo, spostando l’attenzione verso un modello di aliquota impositiva unica, nel rispetto del principio di progressività. Ma cosa implica realmente questa riforma? Quali sono i suoi obiettivi principali? Vediamo nel dettaglio i punti chiave di questa innovativa iniziativa.

Scaglioni e aliquote: una nuova tassazione

Il cuore della riforma giace nella ridefinizione dei tradizionali scaglioni e delle aliquote dell’Irpef. Dopo che il Governo Draghi aveva portato gli scaglioni Irpef da 5 a 4, il nuovo governo vuol ridurli a 3. Il tutto però in vista di un ulteriore e ambizioso programma: applicare a tutti i contribuenti una flat tax, la cosiddetta flat tax universale. Il principio di progressività della tassazione, imposto dalla Costituzione, sarà garantito attraverso detrazioni di ammontare consistente.

I tre livelli su cui si articola la riforma si concentrano sulle fondamenta del cambiamento. La prima fase definisce gli obiettivi fondamentali, orientati verso l’adozione di un’unico livello di aliquota impositiva. La seconda fase si concentra sui principi guida che dovranno guidare la transizione verso la flat tax per tutti. Infine, il terzo livello è dedicato a interventi mirati su diverse tipologie di reddito, dalle attività agricole alle entrate finanziarie.

La riforma ha l’obiettivo di realizzare una maggiore equità orizzontale, cercando di eliminare disparità e iniquità presenti nel sistema fiscale attuale.

Rivoluzione nelle detrazioni e agevolazioni

Un altro aspetto cruciale della riforma riguarda la revisione delle detrazioni e delle agevolazioni fiscali. Questi strumenti vengono riformulati con l’obiettivo di preservare l’equità e l’efficacia del sistema. Una novità importante riguarda la possibilità per i lavoratori dipendenti di dedurre le spese sostenute per la produzione del reddito, seguendo l’esempio degli autonomi. Questo rappresenta un passo significativo verso una parificazione delle regole tra differenti categorie di reddito.

Tasse ridotte per i giovani

Viene infine previsto uno specifico riferimento alla promozione dell’inserimento dei giovani under 30 nel mercato del lavoro: si tratta di una delle novità di maggiore rilievo del passaggio parlamentare, considerati i dati che vedono l’Italia tra i peggiori paesi europei in termini di tassi di occupazione e di disoccupazione giovanile e di divario tra lavoratori giovani e anziani.

Le iniquità da superare

La riforma dell’Irpef a tre scaglioni rappresenta un’opportunità unica per ridefinire il panorama fiscale italiano e superare le iniquità generate da due fenomeni che hanno caratterizzato gli interventi del legislatore dell’ultimo ventennio, ovvero la progressiva erosione della base imponibile Irpef a favore di regimi sostitutivi agevolati e l’allargamento del divario tra il carico fiscale che grava sul reddito di lavoro dipendente e quello proprio delle altre tipologie reddituali soggette a Irpef.

 

Fonte: laleggepertutti.it/

Privacy: Garante, via libera a lotteria scontrini ‘istantanea’

Roma, 4 ago. – Il Garante per la protezione dei dati personali ha dato via libera all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (Adm) sullo schema di provvedimento interdirettoriale che introduce la “Lotteria ad estrazione istantanea” e, quindi, la possibilità per il cliente di partecipare direttamente al concorso attraverso l’uso di un codice bidimensionale stampato sullo scontrino.
Nel dare il via libera il Garante ha rilevato che anche questa nuova modalità di gioco, che si affianca a quella già in uso dal 2020, garantisce il rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali, consentendo al contribuente di partecipare alle estrazioni anche senza fornire il proprio codice lotteria agli esercenti.
In particolare, si legge nella newsletter del Garante, lo schema recepisce le indicazioni fornite dall’Autorità nel corso delle interlocuzioni con l’Adm per assicurare le garanzie a tutela degli utenti minorenni – che non potranno partecipare alla Lotteria – e quelle relative ai controlli sugli strumenti di pagamento elettronico, che dovranno essere effettivamente riferibili al vincitore o a un componente del suo nucleo familiare.
L’Autorità ha ritenuto inoltre adeguate le misure tecniche e di sicurezza sulla protezione dei dati personali previste nello schema di provvedimento e individuate nella valutazione di impatto.

Per partecipare con la nuova modalità, il cliente – dopo aver scaricato l’app “Gioco Legale” ed essersi autenticato tramite Spid o Cie – potrà inquadrare con il proprio smartphone il codice (QR e codice simile) presente sullo scontrino emesso dall’esercente a fronte del pagamento elettronico. A seguito della scansione l’app assocerà il codice lotteria del cliente all’acquisto effettuato. In mancanza del codice lotteria, l’app ne creerà uno nuovo che abbinerà all’acquisto.
Il codice includerà, tra gli altri dati, il codice lotteria del cliente (se presentato al momento di effettuare il pagamento elettronico alla cassa), i dettagli dello scontrino emesso (riferiti a numero, ora, data e ammontare della spesa effettuata) e le informazioni sull’esercente (riferite a partita Iva, matricola del registratore telematico o matricola di cassa). In caso di vincita, l’app “Gioco Legale” avviserà istantaneamente il cliente con una notifica e invierà – previa compilazione di un questionario – un codice bidimensionale attraverso cui il cliente potrà riscuotere il premio presso uno degli esercizi abilitati, entro il termine di 30 giorni.

Con il testamentola volontà viene prima della legge

La legge italiana dispone che il decesso di una persona provoca l’attribuzione di tutto il suo patrimonio (comprensivo di attività e passività) ai suoi eredi. È erede il soggetto che subentra, per intero o pro-quota, nel patrimonio del defunto. L’erede si distingue dal legatario in quanto quest’ultimo è il beneficiario di una disposizione testamentaria che gli attribuisce un singolo diritto (e, quindi, non l’interezza del patrimonio del defunto né una quota di detto patrimonio).

Gli eredi sono individuati dal testamento (questi sono gli eredi testamentari) o dalla legge, se il de cuius non ha lasciato testamento o ha lasciato un testamento che dispone solo di una parte del suo patrimonio (si veda anche pagina 34): questi ultimi si dicono eredi legittimi e sono i familiari più prossimi del defunto (seguendo la regola generale secondo la quale quelli di grado più prossimo prevalgono su quelli di grado più remoto), con il limite del sesto grado, oltre il quale, a causa della “lontananza” di parentela che vi sarebbe con il defunto, la legge preferisce che sia lo Stato a ereditare (ovviamente, lo Stato eredita l’attivo, ma non risponde di eventuali debiti che il defunto lasci inadempiuti).

Il contenuto e i limiti

del testamento

Se, dunque, si intende lasciare la propria eredità senza che sia la legge a designare gli eredi, bisogna ricorrere alla redazione di un testamento: nel nostro ordinamento giuridico, non è consentito designare i beneficiari di una successione ereditaria e individuare le attribuzioni patrimoniali a loro favore se non mediante un testamento (si veda anche pagina 30).

Si dice «testamento» l’atto con il quale una persona fisica dispone la devoluzione delle proprie sostanze per il tempo in cui avrà cessato di vivere (e si dice «testatore» colui che redige un testamento).

Va peraltro precisato che il Codice civile italiano comprime fortemente la libertà di disporre della propria eredità mediante testamento. Ciò per effetto delle regole della cosiddetta «successione necessaria», vale a dire delle norme che impongono di riservare a favore di determinati stretti congiunti del defunto una rilevante quota del suo patrimonio (la cosiddetta «quota di legittima»). Pertanto, quando si redige un testamento queste regole vanno considerate, in modo da evitare di creare situazioni conflittuali.

Il testamento ha un contenuto essenzialmente patrimoniale, ma può contenere anche disposizioni rilevanti sotto un profilo non strettamente patrimoniale: ad esempio, è possibile che il testatore utilizzi il proprio testamento per domandare la cremazione del suo cadavere o per compiere il riconoscimento di un figlio naturale.

Il testamento può inoltre contenere disposizioni che non hanno rilievo giuridico ma solo un valore morale o religioso, come l’esortazione a determinati comportamenti (non infrequente è il caso del defunto che abbia domandato nel testamento la celebrazione di funzioni religiose a suo suffragio).

I requisiti che deve avere

il testamento

Il testamento è un atto:

unilaterale (e cioè formato con l’espressione della volontà del solo soggetto che intende disporre delle proprie sostanze, quindi, ad esempio, non può essere redatto congiuntamente da due persone);

a forma vincolata (e cioè è ammesso solo se redatto con le modalità imposte dalla legge, vale a dire, principalmente, nelle forme del testamento «olografo», del testamento «pubblico» e del testamento «segreto», illustrate nel prosieguo di questo articolo).

nel testamento, il testatore esprime la propria volontà in ordine alle attribuzioni del proprio patrimonio dopo la sua morte.

È importante sottolineare che la legge non consente il testamento orale: nel nostro ordinamento, vale il principio per cui la volontà testamentaria non espressa nella forma di uno dei testamenti disciplinati dalla legge non ha valore. Non valgono perciò come testamento, ad esempio, le espressioni formulate da un infermo sul letto di morte o le confidenze fatte a persona di fiducia.

Perché un testamento sia valido, è necessario che il testatore, al momento della redazione del documento, sia maggiorenne, non sia legalmente incapace (ad esempio, non sia interdetto) e sia comunque capace di intendere e di volere (pertanto, può fare testamento il soggetto che sia solamente inabilitato).

Dato che la legge non dispone nulla per il testamento redatto da chi si trova in regime di amministrazione di sostegno, occorre concludere che, in linea di principio (e cioè a meno che l’incapacità di redigere il testamento sia esplicitata nel decreto di apertura dell’amministrazione di sostegno), costui ha la capacità di redigere testamento. Salvo che un giudice non accerti che il soggetto in questione si trovasse in uno stato di incapacità di intendere e di volere al momento della redazione del testamento.

La revocabilità del testamento:

esplicita o tacita

Occorre sottolineare anche che il testamento non è irreversibile, in quanto esso è in qualsiasi momento revocabile dal testatore: la legge consente che il testatore possa mutare la propria volontà fino all’ultimo minuto della sua vita. La revoca può avvenire sia in forma esplicita (e cioè redigendo un nuovo testamento e indicando in esso che il precedente testamento deve appunto considerarsi revocato) sia in forma tacita: nella misura in cui il nuovo testamento sia in tutto o in parte incompatibile con il testamento precedente, questo deve corrispondentemente intendersi in tutto o in parte abrogato.

Le forme del testamento:

olografo, pubblico o segreto

Le principali forme di testamento ammesse dalla legge sono tre:

il testamento olografo;

il testamento pubblico;

il testamento segreto.

Il testamento olografo è la forma più facile, economica e riservata, in quanto richiede solo tre requisiti: che il testo sia per intero scritto a mano dal testatore, che il testatore scriva la data in cui redige il testamento e che il testatore apponga la propria firma alla fine delle sue disposizioni. Il pregio è quindi la semplicità; i punti critici sono invece quelli dell’assenza della guida di uno specialista e della reperibilità del testamento dopo la morte del de cuius. Occorre pertanto porsi il problema della conservazione del testamento e del fatto che esso non solo sia rintracciabile dopo la morte del testatore ma anche che non finisca nelle mani “sbagliate” (cioè in quelle di un soggetto controinteressato che lo possa eliminare).

A tali “difetti” rimedia il testamento pubblico, che è un testamento necessariamente redatto da un notaio: in questo caso non solo il testatore beneficia, dunque, dell’assistenza di un esperto della materia per la confezione del testamento, ma anche dell’obbligo del notaio di conservare il testamento con la massima diligenza nel tempo. «Pubblico» non vuol dire che il contenuto del testamento viene divulgato: si tratta infatti di un aggettivo che indica la redazione del testamento da parte di un pubblico ufficiale (il notaio, appunto), il quale ha un dovere di estrema riservatezza sia circa l’avvenuta redazione del testamento sia circa il suo contenuto.

A “cavallo” tra testamento pubblico e testamento olografo sta il testamento segreto: si tratta di un foglio scritto (a mano o a macchina) dal testatore che può essere consegnato a un notaio in una busta chiusa. Quindi si hanno in questo caso sia il pregio dell’assoluta riservatezza circa il contenuto delle disposizioni testamentarie sia il pregio della conservazione del testamento in mani sicure.

Come si può fare per trovare

un testamento

Se si tratta di reperire un testamento pubblico o segreto o un testamento olografo depositato fiduciariamente presso un notaio, bisogna interpellare il notaio depositario oppure, nel caso in cui questi abbia cessato l’attività, l’Archivio Notarile dove sono stati riversati i suoi atti.

Se il testatore non ha lasciato indicazioni sul nome del notaio depositario del testamento (ciò che si rende evidentemente consigliabile), la ricerca del notaio può essere effettuata presso i Consigli Notarili competenti per territorio nelle località in cui operava il notaio dal quale presumibilmente il testatore si è recato.

Un altro sistema di ricerca è quello di consultare il Registro generale dei testamenti, che consente di sapere se una persona deceduta abbia fatto testamento in Italia o in uno degli Stati aderenti alla Convenzione internazionale di Basilea (ad oggi: Francia, Cipro, Turchia, Belgio, Paesi Bassi, Portogallo, Lussemburgo, Spagna, Estonia, Lituania, Ucraina), istituita appunto per facilitare la ricerca dei testamenti.

La consultazione di questo Registro (che si effettua presso gli Archivi Notarili distrettuali, esibendo il certificato di morte della persona di cui si ricerca il testamento) consente dunque di sapere se una data persona abbia fatto testamento e dove il documento si trovi.

Va tuttavia prestata attenzione al fatto che il Registro generale può dare notizia solo dell’esistenza dei testamenti pubblici, dei testamenti segreti e dei testamenti olografi depositati “formalmente” presso un notaio (quest’ultimo è il caso, infrequente, in cui l’autore di un testamento olografo chieda al notaio la redazione di un «atto di deposito» di detto testamento); il Registro, in altri termini, non fornisce notizia dell’esistenza di altri testamenti olografi, quindi sia di quelli depositati “fiduciariamente” a un notaio (o ad altro professionista o ad altro soggetto depositario) sia di quelli che il testatore abbia tenuto presso di sé, tra le proprie carte.

Fonte: IL SOLE 24 ORE