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L’Italia che non si arrende: l’incredibile vicenda del CIS di Nola

Di
Redazione
|
20 Giugno 2020

L’Italia che non si arrende: l’incredibile vicenda del CIS di Nola

Di Vittorio Sangiorgi (Direttore del Quotidiano dei Contribuenti)


 

L’appuntamento odierno con la rubrica “l’Italia che non si arrende” racconta l’ennesima storia di capitani coraggiosi, di imprenditori che vanno stoicamente avanti tra abusi e difficoltà, ma ha anche un risvolto che lascia l’amaro in bocca, che provoca rabbia e frustrazione. La vicenda del CIS di Nola, il più grande Centro Commerciale all’ingrosso d’Europa, racchiude in sé i mali e le storture che da tanto, troppo tempo, affliggono l’Italia: la malagestione d’impresa, la speculazione, la cattiva giustizia, l’usura bancaria, il sistema di potere che protegge i soliti noti. A raccontarci le tappe di questa storia è Vincenzo Pisano, imprenditore socio del CIS.

 

 

CIS, storia di un tracollo tra abusi e speculazione

“Il CIS è una società per azioni consortive attiva dal 1986. Raggruppa oltre 300 aziende, rappresentando il più grande centro commerciale all’ingrosso di tutta Europa. I soci posseggono delle quote, in base alle quali hanno diritto alla gestione di uno o più capannoni. Nel 2002 noi soci finiamo di pagare il leasing ma Gianni Punzo, presidente della società, ci propone con insistenza di non riscattarlo, in quanto vorrebbe evitare che questa grande proprietà venga dispersa in tante mani. La sua proposta è la sottoscrizione di un sub-mutuo, che implica la rinuncia al riscatto, anche per chi aveva corrisposto tutte le rate. Di conseguenza viene deciso che i contratti di leasing da noi stipulati appartengono al CIS. Punzo, quindi, dopo aver ottenuto da un pool di banche un finanziamento con un mutuo a tasso variabile di circa 260 milioni di euro, lo fraziona in tanti sub-mutui, la cui entità varia a seconda dei metri quadrati posseduti da ciascuna azienda”.

 

“Per portare avanti questa operazione il CIS viene trasformato, nel giro di tre anni, in una società finanziaria, in modo che possa erogare mutui e gestirne i pagamenti. La transizione avviene regolarmente, sebbene Punzo non avesse il certificato antimafia perché, precedentemente, era stato arrestato con l’accusa di appartenenza ad associazione camorristica in virtù delle presunte relazioni con il boss Alfieri. Questa vicenda si concluderà con la sua assoluzione, ma nella sentenza i giudici scriveranno che, pur non appartenendo a clan camorristici, non ha rifiutato rapporti ed amicizie con affiliati, al fine di ottenere vantaggi.  A partire dal 2012 si apre un nuovo capitolo perché, in quel periodo, Punzo inizia ad intascare le rate da noi pagate e non le versa alle banche che avevano erogato il finanziamento. Queste cifre vengono dirottate su Interporto, altra società da lui presieduta, in conflitto d’interesse con il CIS.  Sempre nel 2012, complici gli effetti della crisi economica, alcuni soci iniziano a non pagare le rate del sub-mutuo, affidandosi anche ad una clausola dell’originario contratto di leasing il quale prevede, in caso di mancato pagamento delle rate, la riconsegna del capannone al CIS e la sua vendita ad un congruo prezzo di mercato. L’eventuale differenza tra ricavato e debito residuo, poi, sarebbe spettata al socio.”

 

“La proprietà del CIS, in virtù dei pagamenti non corrisposti, porta avanti istanza di fallimento nei nostri confronti. Qui entra in gioco la malagiustizia perché, tutte le istanze di fallimento, vengono accettate dai giudici i quali, probabilmente, ritengono che questa possa essere la soluzione giusta per salvare il CIS.  Nel 2016, però, il Presidente di Confedercontribuenti Carmelo Finocchiaro, seguito successivamente dagli avvocati Bello e Coppola, denuncia il tasso usuraio del mutuo da noi contratto. Le denunce vengono presentate alle Procure di Napoli e di Nola e, in questi quattro anni, passano nelle mani dei vari Procuratori avvicendatisi. Le indagini sui due esposti, in seguito unificati in un unico fascicolo presso la Procura di Nola, sono ancora in corso: non vengono archiviate ma non sfociano in un processo. Al termine di questa vicenda 200 aziende hanno continuato a lavorare in quegli spazi e 100 sono state mandate via, di queste ne sono fallite circa 40“.

 

 

La malagiustizia e i diritti negati

“Un altro filone giudiziario, in ambito civile, è quello che riguarda la transazione tramite la quale i curatori fallimentari hanno regalato al CIS i capannoni e le azioni dei soci falliti. Secondo i rilievi dell’avvocato Coppola questa transazione sarebbe illegittima. Il motivo? La violazione di quanto stabilito dalla legge fallimentare, dal momento che nessuna cifra è stata corrisposta ai suddetti soci. Il solo giudice ad opporsi alla riconsegna gratuita alla proprietà è stato Stanislao De Matteis, il quale chiese 1.650.000 euro per la riconsegna e citò in giudizio il CIS per questa cifra. Il suo successore alla sezione fallimentare del tribunale di Napoli, Giampiero Schioppa, sposa questa tesi e convoca i curatori. Il loro comportamento illecito, unitamente a quello dei giudici delegati, non viene sanzionato né segnalato al CSM, ma ci viene chiesto il versamento di un deposito cauzionale per poter ottenere il risarcimento dalla proprietà. Quindi abbiamo torto o abbiamo ragione? Perché dovremmo pagare per ottenere un diritto che la legge ci riconosce?”.

 

“Il 15 luglio ci sarà un appuntamento importante, l’udienza collegiale al tribunale fallimentare che stabilirà come chiudere il fallimento. In cambio potremmo adire questa azione legale contro il CIS per ottenere un congruo risarcimento danni. Attualmente le banche sono entrate come socie di maggioranza nel CIS e i 200 soci rimasti, ormai, non hanno più alcuna voce in capitolo. Tutto ciò ha comportato, per loro, un esorbitante aumento dei costi d’affitto. Inoltre è ancora in atto il piano di risanamento finanziario, al quale Confedercontribuenti si è opposta nel 2016, impugnandolo con una causa alla Corte d’Appello di Napoli. Sono stati commessi, inoltre, errori clamorosi: i bilanci del CIS, ad esempio, sono stati scambiati per quelli di Interporto. Nonostante tutto, però, il piano di rientro è stato approvato”.

 

Noi chiediamo soltanto che venga applicata la legge, nulla più di questo. Sostanzialmente è stato permesso alle banche di comprare i nostri fallimenti, acquisendo poi gratuitamente i capannoni che, in futuro, potranno rivendere a prezzi notevoli. Tutto questo progetto, legato all’appropriazione dei capannoni da parte della proprietà del CIS, era volto alla creazione della cosiddetta “Zona Franca”, una grande area compresa negli spazi del centro commerciale, per creare un ulteriore giro d’affari facente capo allo stesso Punzo. Qualcosa però, anche a causa dei debiti accumulati che ammontavano a circa 500 milioni di euro, si è inceppata e alla fine sono subentrate le banche. In questi anni, addirittura, sia noi che i nostri avvocati, siamo stati invitati da magistratura e Forze dell’Ordine ad evitare di portare avanti denunce e procedimenti penali”.

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Fonte: Dal Quotidiano dei contribuenti
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