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Lockdown e violenza domestica

Di
Redazione
|
4 Novembre 2020

Lockdown e violenza domestica

Di Ettore Minniti

Atti persecutori, violenza sessuali, maltrattamenti contro familiari e conviventi.

L’Istat ha recentemente fatto il punto della situazione. Ci sono state 6.254 vittime donne e 253 vittime uomini. Gli autori sono stati 5.540 uomini e 440 donne.  La crescita più significativa, che ha caratterizzato questi mesi, riguarda la violenza domestica. Nel 2019 2.251 persone avevano chiamato per denunciare violenza in casa, mentre nel 2020 lo hanno fatto 5016 persone. Sono anche raddoppiate le chiamate per episodi di violenza in case altrui, ed è aumentata, nonostante il lockdown, la violenza per strada: 74 telefonate in quattro mesi, contro le 15 del medesimo periodo del 2019. Sebbene in numero assoluto la violenza fisica (percosse e simili) è la prima ragione che ha spinto ad alzare la cornetta, il secondo motivo è la violenza psicologica: 2.285 telefonate di segnalazione 1.100 in più dell’anno precedente. Un aumento altrettanto significativo in termini percentuali ha riguardato la violenza sessuale: 277 chiamate nel 2020 contro le 127 del 2019, a cui si aggiungono 61 chiamate per denunciare molestie sessuali, contro le 35 del 2019. La maggior parte della violenza avviene in casa, per mano del partner. Quest’anno sono più che raddoppiate le segnalazioni di violenza da parte del marito o della moglie (da 1.085 a 2.263), del convivente (da 445 a 997), e del partner non convivente (da 156 a 257). Le denunce vere e proprie sono state 695, mentre 4.738 hanno preferito non farlo, e 164 hanno denunciato e poi ritirato la denuncia (fonte Il Sole 24 Ore).

Dati impietosi. C’è da chiedersi se esiste un nesso di casualità tra il lockdown e la violenza sulle donne? Purtroppo si accentua la solitudine della donna durante la pandemia, perché viene meno la rete relazionale esterna, facendo degenerare i conflitti coniugali già esistenti. A pagare sono sempre le donne.

Per fortuna esistono i centri antiviolenza. Tutte le donne supportate dai centri antiviolenza vengono accolte in case gestite, appunto, dai centri.

Per chi era già in una situazione di violenza, vivendo in casa in solitudine, la situazione si è fatta più complessa, più difficile da gestire. Nella maggior parte dei casi i centri antiviolenza accompagnano la donna verso la possibile separazione dall’orco di turno per farle affrontare, nel modo migliore,senza correre rischi perché il momento della separazione è la fase più rischiosa per uscire dalla violenza.

La prof.ssa Benedetta Russo, presidente di un centro antiviolenza del sud Italia, così ha commentato l’ennesimo femminicidioIl solito copione. Gli stessi attori. Un film già visto. Troppe volte. Stupore collettivo ormai stantio. Indignazione “social” preconfezionata, solite accuse vaghe e ciclostilate, morbosa curiosità per i retroscena, gli immancabili professionisti della vetrina che tutto prevedono dopo che il misfatto è compiuto, sciorinando analisi e soluzioni che in un battito di ciglia mutano in oblio, protagonista assoluto di questo”solito copione”. A terra, sola ed inerme, l’unica tessera autentica di un puzzle sgradevole ed irrisolto, tragicamente: una donna innocente, ennesima vittima della pochezza di un uomo che si manifesta in modo infimo e meschino: sopraffazione, violenza, morte. Il centro antiviolenza è l’unico rimedio al momento a questo deprecabile fenomeno. La propria presenza sul territorio, il proprio quotidiano impegno contro qualunque forma di violenza di genere, rimanendo a disposizione delle vittime ogni giorno, tutti i giorni per scrivere finalmente un nuovo copione su un’emergenza sociale e culturale alimentata dalla negligenza e dall’indifferenza di ciascuno. Nessuno escluso.

In attesa dei nuovi datati statistici con i nuovi lockdown.

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Fonte: Dal Quotidiano dei contribuenti
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