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Tim, Coima e Rocco Forte La carica dei fondi sovrani

Di
Redazione
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2 Gennaio 2024

Investimenti per 125 miliardi, in Italia ne è arrivato poco meno di uno

Di Francesco Bertolino

Salvo che nel 2008, la parola «fondi sovrani» non è mai stata cercata tanto su Google quanto nel 2023. L’interesse riflette anzitutto il ruolo crescente che questi investitori giocano nell’economia globale. L’anno scorso, calcola il centro Global Swf, i fondi sovrani hanno speso quasi 125 miliardi di dollari in 324 operazioni e portato i loro patrimoni al di sopra degli 11 mila miliardi. Per intendersi, si tratta di una somma equivalente a un decimo del prodotto interno lordo mondiale. La quantità di ricerche su Google dimostra però anche la fama acquisita da questi attori finanziari presso il grande pubblico, grazie soprattutto alle tante sortite nello sport.
I fondi sovrani sono ormai presenti in ogni settore e Stato, Italia inclusa. La Qatar Investment Authority è per esempio proprietaria dei grattacieli di Porta Nuova a Milano e socio di controllo del gruppo immobiliare Coima Res. Nel 2023, per la verità, questi veicoli hanno ridotto l’impegno finanziario nel Paese (circa 800 milioni di dollari), ma nei prossimi anni sono destinati a diventare protagonisti di grandi operazioni sul territorio italiano: basti pensare all’ingresso della Abu Dhabi Investment Authority, già socio di Teamsystem, nella cordata che ha comprato la rete Tim per 18,8 miliardi o al ruolo che i i fondi sovrani potrebbero giocare nei 20 miliardi di privatizzazioni pianificati dal governo.
Come si evince anche dai due nomi summenzionati, negli ultimi anni i veicoli di investimento delle monarchie del Golfo sono stati i più attivi all’estero, mentre quelli asiatici e nordamericani hanno preferito ripiegare sui mercati domestici. Gonfiati dai proventi record di petrolio e gas, i fondi sovrani di Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Bahrein hanno speso 82,3 miliardi di dollari nel 2023. Un nome spicca però su tutti: Public Investment Fund, in sigla Pif. Il fondo saudita da 700 miliardi ha investito più di tutti l’anno scorso- 31,6 miliardiscavalcando per la prima volta il colosso di Singapore Gic. In Italia Pif ha puntato soprattutto sul lusso, divenendo socio degli hotel Rocco Forte, degli yacht di Azimut Benetti e delle supercar Pagani. Da ultimo, Pif ha rilevato con un investimento da oltre 110 milioni il 6% del produttore di attrezzature da palestra Technogym.
Il fondo saudita ha del resto un pallino per lo sport, a cui ha destinato una decina di miliardi in tre anni. Nel portafoglio di Pif sono così entrati la maggioranza del circuito professionistico di golf Liv, il club inglese Newcastle, quote di aziende attive a vario titolo negli e-sports. La scalata pare destinata a proseguire alla luce della campagna acquisti faraonica condotta in estate dal campionato di calcio saudita e dell’interesse mai sopito di Pif per il pallone italiano e le sue squadre.
Sin dalla riforma nel 2015, d’altronde, Pif è diventato il braccio della politica economica ed estera di Mohammed bin Salman, nonché un formidabile strumento per ripulire la sua immagine dopo lo scandalo dell’omicidio del giornalista del Washington Post, Jamal Kashoggi. Le priorità e, spesso, anche i patrimoni dei fondi sovrani del Golfo sono infatti indistinguibili dall’agenda e dalle fortune delle dinastie regnanti. Vale per Pif, ma anche per altri due fondi sovrani ricchissimi come quelli del Qatar — azionista di controllo fra l’altro del Paris Saint-Germain e del World Padel Tour — e di Abu Dhabi, proprietario del Manchester City e di altri 11 club in giro per il mondo (Palermo incluso). Da qui le critiche di sportwashing rivolte ai veicoli dei Petrostati mediorientali, accusati di utilizzare lo sport come diversivo per conquistare il favore dell’opinione pubblica internazionale e oscurare le violazioni dei diritti umani perpetrate in patria.

Fonte: Corriere