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Strage Thyssen : semilibertà per i manager tedeschi

Di
Redazione
|
19 Giugno 2020

Strage Thyssen : semilibertà per i manager tedeschi

Di Vittorio Sangiorgi (Direttore del Quotidiano dei Contribuenti)


 

Potranno godere del regime di semilibertà Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz, rispettivamente ex Amministratore Delegato e Dirigente della Thyssenkrupp Acciai Speciali, condannati con sentenza definitiva nel 2016 per il rogo nello stambilimento di Torino che, la notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007 causò la morte di 7 operai. Questa la decisione, della quale si attende l’ufficialità, della Corte di Essen, competente nel Land tedesco dove ha sede la fabbrica e dove risiedono i due manager.

Una vicenda paradossale e assurda, figlia degli accordi tra Italia e Germania in materia penale. Espennhahn e Priegnitz, condannati con sentenza della Cassazione, rispettivamente a 9 anni e 8 mesi e 6 anni e 10 mesi, hanno usufruito della possibilità di scontare la carcerazione in patria, dove la pena massima per omicidio colposo e di cinque anni. Per scongiurare questa ipotesi, all’indomani dell’ultimo atto processuale, il Procuratore Generale di Torino Francesco Saluzzo ed il sostituto PG Vittorio Corsi, avevano emesso un mandato di cattura internazionale per i due, chiedendo l’estradizione nel nostro paese. Tuttavia Espennhahn e Priegnitz, sempre come previsto dagli accordi bilateriali Italia – Germania, hanno rifiutato l’arresto. Incredibile ma vero, si tratta di un loro legittimo diritto.

Si opta, quindi, per un’altra procedura, prevista dagli accordi vigenti nei paesi UE, e i magistrati italiani inviano, ai loro omologhi teutonici, le traduzione delle sentenze d’appello e di Cassazione. In maniera del tutto irrituale, però, Berlino chiede altri chiarimenti, documenti smarriti e l’invio di tutte le sentenze che hanno scandito il procedimento, comprese quella di primo grado, la prima d’appello e la prima emessa della Suprema Corte che – riformulando i reati ascritti agli imputati –  chiese il ricalcolo delle pene. Questa complessa procedura burocratica trova compimento nell’agosto del 2018, quando tutta la documentazione richiesta viene recapitata in Germania. La carcerazione viene decretata nel febbraio 2019, ma un ricorso degli avvocati dei due manager allunga ancora i tempi. Un anno dopo, esattamente il 4 febbraio scorso, il tribunale superiore di Hamm respinge il ricorso e conferma la carcerazione per Espennhahn e Priegnitz. Tuttavia, anche a causa della pandemia, i due restano ancora in libertà. Poi, a fine maggio, i loro legali avanzano ufficialmente richieste per l’offener Vollzug, ovvero un regime di semilibertà che permette il lavoro fuori dal carcere nelle ore diurne e il rientro in cella alla sera. La misura, per essere applicata, richiede che il condannato non sia recidivo, che abbia un contratto di lavoro (e i due, in questi 12 anni, hanno continuato a lavorare per la Thyssen) e che non sussista il pericolo di fuga.

Nonostante il parere dell’Eurojust (l’Unità di cooperazione giudiziaria dell’Unione Europea), che non immaginava soluzioni alternative alla carcerazione, l’indirizzo preso dalla Corte di Essen, del quale si attende l’ufficialità ma che è stato anticipato da Radio Colonia, è proprio quello della semilibertà. Anche dal Ministero di Grazia e Giustizia, sebbene non sia ancora pervenuta alcuna comunicazione, dicono che tutto lascia presagire questa soluzione, che permetterà ai due di non trascorrere nemmeno un giorno intero in carcere. Un epiologo che rinnova lo strazio e il dolore dai familiari, che svilisce il valore della vita umana, che pone mille interrogativi, che fa riflettere sulla debolezza politica del nostro paese nel consesso internazionale. Certo, ci sono degli accordi, ma è spontaneo chiedersi cosa sarebbe successo a parti invertite. Cosa sarebbe succeso se un cittadino italiano fosse stato condannato, in Germania, per un reato tanto grave? Cosa sarebbe successo a chi, per incuria, disinteresse, cinici calcoli economici, è stato responsabile della morte, terribile ed atroce, di sette operai?

Forse è meglio non rispondere, forse è meglio lasciare queste domande in sospeso, per sottolineare la drammaticità di una simile situazione. L’ultimo, doveroso e rispettoso pensiero va ad Antonio Schiavone (36 anni), Roberto Scola (32 anni), Angelo Laurino (43 anni), Bruno Santino (26 anni), Rocco Marzo (54 anni), Rosario Rodinò (26 anni), Giuseppe De Masi (26 anni).

 

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Fonte: Dal Quotidiano dei contribuenti
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