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Sparatoria a Catania: nuova guerra di mafia o chiarimento trasformatosi in tragedia?

Di
Redazione
|
11 Agosto 2020

Sparatoria a Catania: nuova guerra di mafia o chiarimento trasformatosi in tragedia?

Di Daiana De Luca (Responsabile Comunicazione Confedercontribuenti)


“Ce ne eravamo dimenticati di cosa era Catania ai tempi delle guerre di mafia, quando ogni anno si contavano cento e più omicidi. Ma non dobbiamo mai dimenticare che i fenomeni e le storie criminali, come tutti i fatti umani, sono soggetti a ciclici ricorsi. Dunque nulla è sepolto per sempre, e tutto ciò che sta dietro le nostre spalle non è semplicemente passato: può tornare ad essere la chiave di lettura con la quale comprendere ciò che può aspettarci, per non farsi trovare impreparati”. (Sebastiano Ardita, Magistrato).

Si è tornato a sparare a Catania. E’ successo sabato sera intorno alle 19.30 in Viale Grimaldi, nel popoloso e complicato quartiere di Librino. Nella pioggia di proiettili sono rimaste coinvolte diverse persone ed il bilancio di quel folle pomeriggio di mezza estate è grave: due morti (Luciano D’Alessandro, di 48 anni e Vincenzo Scalia, di 29) e quattro feriti. Al vaglio degli inquirenti le cause che avrebbero spinto i due gruppi criminali a far degenerare un chiarimento trasformatosi in tragedia. Le indagini, seguite dal sostituto procuratore della Dda Alessandro Sorrentino e coordinate dall’aggiunto Ignazio Fonzo, a capo del pool di Magistrati che si occupa di diversi clan etnei, tra cui i gruppi criminali denominati Cappello e Bonaccorsi che gestiscono le piazze di “spaccio” catanesi, puntano proprio sulla criminalità organizzata ed in particolare sul produttivo mercato della droga… Ma non si esclude a priori alcuna pista.

E mentre gli inquirenti indagano su ogni particolare utile a fare chiarezza su quanto accaduto sabato sera, Catania teme una nuova “chiamata alle armi” da parte dei gruppi criminali che controllano la città etnea, per ristabilire gli equilibri tra chi comanda. L’episodio desta particolare preoccupazione, tangibile anche nelle parole del magistrato Sebastiano Ardita che in un post su facebook sabato scriveva: “Nei quartieri, dove il traffico della droga coi suoi flussi costanti di denaro sembrava aver pacificato i rapporti di potere criminale, si torna a sparare. Segno che la dimensione militare è ancora viva. Che si gira armati. Che si attendono gli eventi.”

Catania conosce quell’equilibrio instabile tra i clan che gestiscono le diverse piazze di spaccio in Città come nell’interland; sa che quell’equilibrio è spesso destinato a saltare e quando accade nella città etnea si spara. L’alternanza tra periodi, più o meno lunghi, di apparente normalità ed il disordine sociale che crea terrore tra i cittadini, in costante apprensione per ciò che può sempre accadere, è ormai una realtà di cui pare proprio non potersi fare a meno. Catania ne conosce di guerre tra mafiosi per accaparrarsi il controllo sul mercato degli stupefacenti; uno degli ultimi episodi balzati agli onori della cronaca, quello del 2017 quando vennero arrestati diversi pregiudicati del clan “Cursoti Milanesi” pronti a sparare contro il clan rivale “Cappello-Bonaccorsi”. Pensate che dopo quell’episodio i due gruppi trovarono un equilibrio marcando il confine nel rione “San Berillo Nuovo” con una bandiera USA, il primo, ed una del Milan, il secondo.

Noi non siamo, però, qui, ad atteggiarci ad investigatori dell’ultim’ora… quello che vorremmo ottenere, invece, da queste poche righe, è una maggiore attenzione da parte delle istituzioni al fenomeno associativo mafioso; riteniamo, infatti, che laddove la presenza delle istituzioni sia costante sul territorio (parliamo di Catania vogliamo rivolgerci all’Italia tutta), poco spazio possa (e potrà) avere la criminalità organizzata nel far emergere ed affermare quel potere che, purtroppo, ancora non smette di avere… Riteniamo che nel recupero sociale dei giovani più vulnerabili, dei soggetti socialmente deviati, di quelli che altro non hanno per vivere se non “lo stipendietto” di illecita provenienza, possa trovarsi un valido strumento alleato della lotta alla mafia che fa della disperazione, della devianza, della mancanza di istruzione ed opportunità concrete, una fonte inesauribile di braccia pronte ad “obbedire”. “Non sapremo mai perché questi ragazzi hanno scelto di vivere una vita che si è conclusa senza una ragione. Perché hanno pensato di voler “controllare il territorio” con le armi. Perché non si sono posti il problema che una vita così può finire in un attimo, senza una ragione apparente. O meglio senza che si sia trovata una buona ragione per vivere.

Sappiamo solo una cosa. Che ci saranno bambini, fratelli, parenti, amici che porteranno dentro il dolore e la rabbia di queste morti violente. E se non troveranno neppure loro “una buona ragione per vivere”, potrebbero alimentare la catena della violenza. Compito dello Stato è quello di fare innanzitutto giustizia, trovare colpevoli e processarli. Ma anche di creare le condizioni perché si spezzi la catena del male. Altrimenti la violenza finirà per generare altra violenza.” ( Sebastiano Ardita, Magistrato).
Continueremo a parlarne…

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Fonte: Dal Quotidiano dei contribuenti
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