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REGIONI. Quale autonomia?

Di
Redazione
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3 Ottobre 2020

REGIONI. Quale autonomia?

di Ettore Minniti

Garantirò il completamento della riforma del titolo V della Costituzione e l’autonomia delle Regioni, è mio dovere farlo. E’ vent’anni che la dobbiamo fare, ed è colpa sia della sinistra sia della destra se finora non si è fatta”. Lo ha dichiarato il ministro agli Affari regionali e le Autonomie Francesco Boccia . Sull’autonomia differenziata, noi siamo pronti, dentro questo schema ci siamo ritrovati tutti. Quando ci siamo insediati un anno fa c’erano solo tre regioni e tutte le altre erano contro. Il Sud era totalmente contro ma anche molte regioni del Nord, oltre ai sindaci. Oggi sono tutti d’accordo. Io penso che questo risultato sia figlio di una leale collaborazione rispetto alla quale Zaia ha dato un contributo importante così come Stefano Bonaccini“.

‘Per far questo abbiamo dovuto garantire a tutte le aree interne, a tutte le aree di montagna e a tutto il Mezzogiorno che i livelli essenziali delle prestazioni, scuola, sanità, trasporto pubblico locale e assistenza, fossero tirati fuori da un decentramento spinto che io ho garantito. Tutte le materie, che non riguardano i livelli essenziali delle prestazioni. Il Covid dimostra che sindaci e presidenti delle Regioni sono assolutamente in grado di rispondere alle esigenze dei cittadini rispettando le linee guida che dà lo Stato e io di questo ne sono assolutamente fiero e orgoglioso e non vedo colori politici“, ha concluso il Ministro (fonte Pas/Adnkronos)

La richiesta di maggiore autonomia era stata proposta da nove regioni (Lombardia, veneto, Emilia-Romagna, Piemonte, Liguria, Toscana, Marche, Umbria e Campania). In Lombardia e Veneto si è svolto un referendum nel 2017 e a queste si sono poi aggregate Emilia-Romagna e Piemonte.

L’autonomia differenziata riguarda solo le regioni a statuto ordinario. Si tratta di una potestà riconosciuta dall’articolo 116 della Costituzione dopo la modifica avvenuta con la riforma costituzionale del Titolo V approvata nel 2001. Uno dei punti più delicati del dibattito riguarda il tema delle risorse finanziarie che devono accompagnare il processo di rafforzamento dell’autonomia regionale.

Un punto dolente del dibattito politico riguarda le  diseconomie legate alla geografia. Secondo SVIMEZ, 20 dei 50 MLD circa del residuo fiscale trasferito dallo Stato alle Regioni del Sud ritornano al Centro-Nord sotto forma di domanda di beni e servizi. Il Meridione è il principale mercato di sbocco della produzione settentrionale e le aziende che producono a Sud, ma hanno sede legale al Nord, attivano circa il 14% del PIL delle regioni autonomiste.

L’emigrazione intellettuale e giovanile e i gruppi bancari del Nord (non esiste una banca del Sud) creano altrettanto diseguaglianze economiche soprattutto per quanto riguarda il credito.

Caso emblematico la Sicilia. Lo Statuto siciliano impone che le aziende che hanno lo stabilimento in Sicilia e la sede legale fuori paghino una quota in Sicilia. Il sistema politico romano centriconon lo ha mai permesso. L’Isola vanta un credito di almeno 6, 7 miliardi di euro nei confronti dello Stato. La Sardegna non è da meno.

Nonostante l’autonomia speciale siciliana fu un antidoto al separatismo e all’indipendentismo e opera in visione unitaria, il Ministro Boccia ha dichiarato: “E’ vero che l’autonomia incide sulle Regioni a statuto ordinario ma le valutazioni di questi anni dimostrano come gli effetti indiretti della legislazione concorrente e delle modifiche normative intervenute si ripercuotono sulle Regioni a statuto speciale. La Regione autonoma siciliana ha poi la caratteristica di avere uno statuto con articoli oggettivamente incostituzionali“. Eppure esso ha rango costituzionale perché approvato un anno prima della Costituzione stessa.

Il dibattito politico sulle autonomie è aperto, ma ci sono turbolenze e nubi nere all’orizzonte per coloro che sostengono che lo Statuto speciale non è mai stato applicato.

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Fonte: Editoriali di Quotidiano dei Contribuenti
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