Dal 2012 al 2020 la galassia delle partecipate si è ridotta del 25,8%, a quota 7.969, con 3.448 imprese attive a controllo pubblico per 582.669 addetti. Ma la razionalizzazione decollata nel 2016 rischia di fermarsi: è inciampata nelle crisi aziendali legate alla pandemia, nella mancanza adozione di provvedimenti attuativi importanti, nelle resistenze delle amministrazioni e, infine, nelle nuove esigenze dettate dal Pnrr e dai grandi eventi, che hanno portato alla nascita di nuove società, da Ita al Polo strategico nazionale, dalla Holding Reti autostradali a Dri d’Italia, GreenIt e Renovit, da Infrastrutture Milano-Cortina 2026 a Giubileo 2025, fino a Enit e Acque del Sud.
È un quadro in chiaroscuro quello che emerge dal dossier appena sfornato dal servizio per il controllo parlamentare della Camera dedicato al «monitoraggio e controllo sulle società a partecipazione pubblica», che offre anche una accurata ricognizione degli assetti organizzativi e una fotografia dei rinnovi nel biennio 2023-2024. Su una banca dati di 236 società oggetto di monitoraggio da parte dei tecnici di Montecitorio, i cambiamenti negli organi di vertice interessano nel biennio 130 tra partecipate dei ministeri (primo livello), società di secondo livello e società di terzo livello partecipate da Cdp almeno al 25%: per 39 le nuove nomine sono già avvenute tra la primavera e queste ultime settimane; per 91 (tra cui Rai, Cinecittà, Ferrovie, Sogei e Sose, ma anche Anas e Terna) si dovrà provvedere tra quest’anno e il prossimo.
Sotto la lente, l’attuazione del Testo Unico (Dlgs 175/2016) approvato dal Governo Renzi con il duplice obiettivo di sfoltire le partecipate, eliminando le scatole vuote e vincolando la nascita di nuove società all’esistenza di preminenti ragioni di interesse pubblico, e di ridurre i compensi degli amministratori. La riforma ha anche previsto che il mantenimento delle partecipazioni esistenti debba essere sottoposto a una razionalizzazione periodica (articolo 20), effettuando ogni anno un’analisi ad hoc e predisponendo un piano di riassetto. Il documento richiama il rapporto del Tesoro sulle partecipazioni delle amministrazioni pubbliche del Tesoro dello scorso dicembre: al 31 dicembre 2020 le partecipazioni dirette e indirette dichiarate dalle amministrazioni erano 39.989, riconducibili a 5.260 società. Sulle 26.821 per le quali era stata effettuata l’analisi di conformità rispetto al dettato normativo (riconducibili a 3.240 società costituite prima del 23 settembre 2016 e che avevano approvato nel quinquennio di riferimento tutti i bilanci d’esercizio), 11.872, pari al 44,26% del totale, non rispettavano uno o più parametri previsti dal Testo Unico per il mantenimento. In particolare 287, quasi il 9%, aveva un risultato economico negativo in almeno quattro degli ultimi cinque esercizi. Per disporre di un’istantanea più aggiornata bisognerà attendere: entro il 16 giugno scorso le amministrazioni erano tenute a comunicare al Mef i dati relativi ai piani di revisione periodica delle partecipazioni detenute al 31 dicembre 2021, adottati entro il 31 dicembre 2022, nonché la relazione sull’attuazione del precedente piano di razionalizzazione.
Anche sulla revisione straordinaria (articolo 24 del Tetso Unico) l’ultimo rapporto disponibile del Mef risale al 2019: certifica mosse a singhiozzo, con alienazioni e recessi che avevano generato introiti per circa 431 milioni. All’appello mancano comunque ancora alcuni provvedimenti attuativi importanti, come il decreto “fasce”, ossia il provvedimento del ministro dell’Economia che dovrebbe definire gli indicatori dimensionali per individuare fino a cinque fasce per la classificazione delle società a controllo pubblico nell’ambito delle quali determinare il limite dei compensi massimi per amministratori, titolari e componenti degli organi di controllo, dirigenti e dipendenti. Nel frattempo si va avanti con il criterio della spesa storica.
Scomparso dai radar anche il regolamento previsto dalla legge 162/2021 che dovrebbe ampliare alle controllate pubbliche non quotate l’obbligo del 40% di amministratori del genere sottorappresentato per sei mandati consecutivi, come stabilito per le quotate dalla legge di bilancio 2020. Anche su questo fronte mancano dati aggiornati, perché la relazione triennale 2019-2022 sullo stato di applicazione delle norme in tema di parità di genere nelle società a controllo pubblico, prevista dal Dpr 251/2012, «non risulta ancora presentata al Parlamento». L’ultima informazione risale a marzo 2019, quando la quota di donne negli organi di amministrazione e controllo delle società pubbliche non quotate si attestava a circa un terzo dei componenti, scendendo però al 12,3% tra gli amministratori unici. Per le quotate tutte le indagini registrano negli anni un trend crescente. L’ultimo rapporto di corporate governance della Consob ha certificato che a fine 2022 la presenza femminile ha raggiunto il 43% degli incarichi di amministrazione e il 41% di quelli di componente dell’organo di controllo. Con 17 Ad in società di piccole dimensioni.
Tra le novità del primo semestre di quest’anno, il monitoraggio segnala infine, oltre alla “seconda vita” in house della società Stretto di Messina per la realizzazione del ponte, la nascita dalle ceneri dell’Enit di un’altra società in house, Enit Spa, l’istituzione di Acque del Sud Spa, cui sono state trasferite le funzioni dell’Eipli, e la trasformazione di Anpal Servizi in Sviluppo lavoro Italia Spa. Un processo quasi inevitabile, quello del fiorire di nuove società – sembrerebbe suggerire il dossier – visto in particolare l’allargamento delle maglie per gli affidamenti in house previsto dal Codice degli appalti e dal Pnrr.
Fonte: il Sole 24 Ore