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L’Italia, il G20, gli industriali e i petrolieri

Di
Redazione
|
18 Gennaio 2021

di Civismundi

Nessuno si faccia illusioni, lo scontro politico cui stiamo assistendo riguarda ben poco le difficoltà degli italiani e il modo di venire incontro ai loro bisogni. Da mesi la guerra senza quartiere tra destra e governo (non parliamo di sinistra, perché quella è un’altra cosa) ed all’interno della (ex?) maggioranza riguarda l’occupazione dei posti strategici da cui pilotare giganteschi interessi economici.

Non si tratta solo della gestione dei fondi stanziati dall’Unione Europea per fronteggiare l’emergenza economica provocata dalla pandemia da Covid 19. Il 2021 è anche l’anno della presidenza italiana del G20, il vertice internazionale dei capi di stato e di governo dei paesi più industrializzati e ricchi del mondo che, da soli, rappresentano il 90% del PIL prodotto nel pianeta.

Il G20 culminerà nel vero e proprio incontro al vertice dei leader mondiali previsto per il 30 e 31 ottobre, ma sarà preceduto da tutta una serie di eventi e di incontri preliminari della massima importanza per le relazioni internazionali che di fatto preparano le risoluzioni dei capi di stato e di governo.

Nel corso dell’anno specifici tavoli tecnici e ministeriali lavoreranno per trovare soluzioni condivise alle tematiche economiche più delicate e di maggiore rilevanza. I tavoli preliminari prefigurano le conclusioni del vertice, stilando anche i documenti da approvare. L’Italia è chiamata a coordinare questi lavori, che avranno al centro, oltre al contrasto alla pandemia ed ai suoi effetti economici e sociali, oltre agli aspetti della web security e del potere digitale, la grande questione delle fonti energetiche, dei cambiamenti climatici e delle emergenze ambientali.

Le lettrici e i lettori possono comprendere facilmente quanti e quali interessi sono in gioco e con quanta pesantezza entrino in campo i grandi gruppi industriali multinazionali e i lobbisti di ogni specie e natura.

La presidenza del G20, dunque, è tutt’altro che un’incombenza onorifica, si tratta di organizzare e preparare il vertice, un impegno assai complesso per affrontare il quale il governo, già da qualche mese, ha costituito un team di funzionari della pubblica amministrazione e consulenti esterni. Del gruppo, composto da dieci personalità, figurano anche, come “esperti senior” dell’ufficio sherpa del G20, cioè deirappresentanti personali dei Capi di Stato o di Governo, che hanno la funzione di guidare “politicamente” la preparazione dei vertici e di fare da negoziatori per le risoluzioni finali, Francesco Ciaccia, manager di ENI e Giovanni Dioguardi, dirigentedi Confindustria.
A luglio, a Napoli, è in programma, virus permettendo, la sessione del G20 dedicata aenergia, clima e ambiente e ai tavoli tecnici sarà presente, con un suo manager, ENI, azienda italiana strettamente legata alle attività estrattive legate ai cambiamenti climatici, che è considerata tra le più inquinanti al mondo.

Il coinvolgimento di ENI nelle trattative preparatorie del G20 viene considerato quantomai inopportuno dalle associazioni ambientaliste, che vedono in ENI e Confindustria i veri registi dei piani energetici ed industriali del nostro Paese.

Eni – dice Fridays For Future Italia – è una delle aziende italiane con il più alto livello di emissioni di gas serra al mondo, tra le realtà principalmente responsabili dell’emergenza climatica in corso: le sue emissioni globali sono maggiori di quelle dell’Italia. Come si può affidare questo compito a un suo amministratore”?

L’allarme era già molto vivo per l’orientamento manifestato dal governo italiano in una serie di atti che continua ad allungarsi, dal mancato rispetto dei termini per preparare il piano delle aree adatte alle ricerche di idrocarburi (PiTESAI) alla scomparsa della moratoria sulle trivelle dal decreto Milleproroghe, dalla bozza del Piano Nazionale di Ripartenza e Resilienza (PNRR) in cui è previsto lo stanziamento di diversi miliardi per lo stoccaggio della Co2 nei giacimenti esauriti sottomarini davanti a Ravenna, il cui impatto ambientale è ritenuto devastante, all’assenso alla partnership tra Cdp, Eni e Snam per la produzione, il trasporto e la commercializzazione dell’idrogeno verde.

Su quest’ultima alleanza industriale, in particolare, il Coordinamento nazionale No-Triv si è pronunciato con parole molto dure: censurabile e senza contraddittorio appare l’avallo del governo all’alleanza strategica – e perfino “incestuosa”, secondo alcuni – tra Eni, Snam e Cdp, finalizzata alla gestione di una fetta importante della transizione energetica (e dei relativi cospicui fondi del Recovery), senza che nessuno battesse ciglio (Authority compresa)”.

I No-Triv accusano l’esecutivo di essere “fortemente condizionato dalle major fossili e dai suoi esponenti di professione, fino al punto di sentirsi in obbligo di introdurre nuovi aiuti di Stato all’Oil&Gas (vedi Iva e accise agevolate alle raffinerie) o di finanziare progetti specifici nel quadro del Recovery”.

Non sono soltanto le scelte in materia energetica a destare preoccupazione rispetto al coordinamento italiano del G20. Infatti tra le iniziative propedeutiche al vertice di ottobre si segnala come particolarmente rilevante il Business Summit (B20) organizzato da Confindustria allo scopo di formulare proposte e raccomandazioni alla Presidenza di turno del G20. Il timore è che, come sempre, nel G20 piuttosto che essere ascoltate le voci che provengono dalle popolazioni venga riservato ampio spazio alle istanze della grande industria e delle mega-aziende inquinanti.

Così ancora una volta si perderà l’occasione per collegare l’emergenza climatica alla dimensione sociale e si procederà sulla strada di un processo di accordi internazionaliall’insegna dei più conclamati conflitti d’interesse.