L’ente di statistica: nonostante l’attenuarsi della fase più critica della crisi energetica, nel primo trimestre 2023, l’andamento dell’inflazione condizionerà l’evoluzione dei consumi e dei salari reali nel prossimo futuro.
Sono, è il caso di dirlo ricorrendo a un’immagine probabilmente un po’ abusata, le due facce della stessa medaglia. La prima, quella di un’economia che in Italia è in fase di recupero, con il saldo commerciale che a fine 2022 è tornato in attivo e, sul piano del lavoro, con l’aumento degli occupati e, in parallelo, la diminuzione dei disoccupati e degli inattivi. La seconda faccia della medaglia si focalizza invece su alcuni fattori di incertezza, dall’invecchiamento della popolazione (un problema che viene da lontano) alla crisi in Ucraina, con il conseguente aumento dei costi di produzione per le imprese e dei prezzi al consumo per le famiglie. Incognite che potrebbero appesantire o, nello scenario peggiore, anche rallentare la crescita.
Ed è proprio la rappresentazione di questa realtà a due dimensioni, strettamente connesse l’una all’altra, il passaggio portante del Rapporto annuale 2023 dell’Istat, sottotitolo “La situazione del Paese”, presentato oggi, venerdì 7 luglio, a Roma presso Palazzo Montecitorio. Una fotografia dell’Italia ad ampio raggio, in tutte le sue sfaccettature. Un resoconto complesso (più di 200 pagine): dagli investimenti in capitale umano all’innovazione come risposta alle crisi e fattore di competitività.
Nel primo trimestre 2023 dinamica congiunturale positiva per il Pil
Partiamo dallo stato di salute dell’economia italiana. Nel primo trimestre 2023 si registra una dinamica congiunturale positiva per il Pil, superiore a quella delle altre economie dell’Unione europea, trainata soprattutto dal settore dei servizi. La manifattura mostra invece segnali di rallentamento. Con riferimento al 2022, l’Italia ha segnato una crescita del Pil pari a +3,7 per cento, inferiore, tra le maggiori economie, solo a quella della Spagna (+5,5 per cento). La crescita del prodotto interno lordo dell’Italia nel 2022 è stata sostenuta, come nel 2021, dai consumi delle famiglie residenti e dagli investimenti fissi lordi, mentre la domanda estera netta ha fornito un contributo negativo. Il numero di occupati è cresciuto del 2,4 per cento (+545mila unità) facendo registrare un aumento di molto superiore rispetto a quello osservato nel 2021 (+0,7 per cento pari a 167mila unità). Questo aumento ha pienamente compensato il crollo occupazionale registrato nel 2020 riportando nuovamente l’occupazione ai livelli del 2019, ma rimane comunque inferiore a quelli conseguiti dai principali paesi europei e dell’Ue a 27 nel complesso. Per quanto riguarda l’occupazione giovanile (25-34 anni) risultano occupati nel 2022 quasi 8 giovani su 10 nel Centro-Nord a fronte dei 5 circa nel Mezzogiorno.
La sfida dell’invecchiamento della popolazione
Se questo è il contesto, ci sono dei “ma”. Il primo: «Sul fronte demografico – si legge nel rapporto -, gli effetti dell’invecchiamento della popolazione si fanno sempre più evidenti: il consistente calo delle nascite registrato nel 2022 rispetto al 2019, circa 27 mila nascite in meno, è dovuto per l’80 per cento alla diminuzione delle donne tra 15 e 49 anni di età e per il restante 20 per cento al calo della fecondità. L’invecchiamento è destinato ad accentuarsi nei prossimi anni, con effetti negativi sul tasso di crescita del Pil pro capite». Nel primo quadrimestre di quest’anno non si è arrestata la tendenza al calo delle nascite: 118mila unità, meno 1,1 per cento sul 2022, meno 10,7 per cento sul 2019. Il numero stimato di ultracentenari raggiunge il suo più alto livello storico, sfiorando, al 1° gennaio 2023, la soglia delle 22 mila unità, oltre 2 mila in più rispetto all’anno precedente. Gli ultracentenari sono in grande maggioranza donne, con percentuali superiori all’80 per cento dal 2000 a oggi.
Gli scenari demografici più recenti – osserva l’Istat – mettono in luce come entro i prossimi venti anni in Italia vi sarà una riduzione consistente della popolazione in età di studio e di lavoro. Tuttavia, la contrazione della platea di studenti può essere mitigata dalla diminuzione degli abbandoni nelle scuole secondarie superiori e da un aumento dei tassi di partecipazione all’istruzione universitaria. In entrambi i casi in Italia si sono registrati progressi significativi già nell’ultimo decennio, ma la distanza dai Paesi più virtuosi dell’Unione è ancora ampia, in particolare nelle regioni del Mezzogiorno. Inoltre, le maggiori criticità di queste ultime riguardano anche le competenze dei diplomati, che risultano in media più basse rispetto a quelle misurate al Centro-Nord.
Il titolo di studio offre migliori opportunità di occupazione e reddito da lavoro, in particolare nelle regioni del Mezzogiorno e per le donne. Rispetto agli individui con al più la licenza media nella classe di età tra i 25 e i 64 anni, il tasso di occupazione dei laureati è di 30 punti superiore. Questa differenza arriva a 35 punti nel Mezzogiorno, a 44 tra le donne e sfiora i 50 punti tra le donne del Mezzogiorno. Inoltre, i laureati percepiscono in media un reddito netto pari a circa 2,5 volte quello dei lavoratori con al più la licenza media (2,8 volte nell’Ue27).
In Italia la “trappola della povertà” è più intensa che nella maggior parte dei paesi dell’Unione europea e sta aumentando più che altrove, a confronto con il 2011. Quasi un terzo degli adulti (tra 25 e 49 anni) a rischio di povertà proviene da genitori che, quando erano ragazzi di 14 anni, versavano in una cattiva condizione finanziaria. Gli ultimi dati disponibili, relativi al 2019, indicano in Italia il valore più alto tra i principali paesi europei e nel complesso dell’Ue inferiore solo a quello di Bulgaria e Romania.
L’inflazione condizionerà consumi e salari nel prossimo futuro
Il secondo fattore di incertezza è dato dalla crisi in Ucraina, anche per i suoi strascichi sulla corsa dei prezzi e, di conseguenza, sul potere di acquisto dei consumatori. «Il forte rincaro dei prezzi dell’energia e delle materie prime , accentuato dal conflitto in Ucraina, ha condizionato l’evoluzione dell’economia – sottolinea l’ente statistico -, con rilevanti aumenti dei costi di produzione per le imprese e dei prezzi al consumo per le famiglie. In Italia il prezzo per uso domestico, che nel secondo semestre 2020 era più basso di quello di Germania e Spagna, ha subito nell’arco di due anni un incremento così ampio (+72,4%) da diventare il più alto tra le maggiori economie europee. Oltre una famiglia su quattro risulta ancora in povertà energetica dopo aver ricevuto i bonus sociali per l’elettricità e il gas, il 25,1%.
Più in generale, i lavoratori italiani guadagnano circa 3.700 euro l’anno in meno della media dei colleghi europei e oltre 8 mila euro in meno della media di quelli tedeschi. La retribuzione media annua lorda per dipendente è pari a quasi 27 mila euro, inferiore del 12% a quella media Ue e del 23% a quella tedesca, nel 2021, a parità di potere d’acquisto. L’Istat, nel rapporto annuale, indica che, tra il 2013 e il 2022, la crescita totale delle retribuzioni lorde annue per dipendente in Italia è stata del 12%, circa la metà della media europea. Il potere di acquisto delle retribuzioni, negli stessi anni, è sceso del 2% (+2,5% negli altri paesi).
E, nonostante l’attenuarsi della fase più critica della crisi energetica, nel primo trimestre 2023, l’andamento dell’inflazione condizionerà l’evoluzione dei consumi e dei salari reali nel prossimo futuro».
FONTE : ILSOLE24ORE