Fondi pensione, linee garantite costose e che rendono poco

Costano tanto e rendono poco. Sono le linee garantite dei fondi pensione complementari italiani. Uno speciale comparto di investimento della previdenza integrativa che forse andrebbe profondamente ristrutturato. A confermare i costi eccessivi è la stessa Covip, l’authority di vigilanza dei fondi pensione, che sottolinea il fenomeno nei suoi documenti ufficiali.

Gli iscritti

Nonostante le deboli performance, i comparti garantiti della previdenza complementare italiana sono ancora tra i più richiesti dai lavoratori italiani con il 38% degli iscritti, secondi soltanto ai comparti bilanciati (39,7%). Mentre è ben più esiguo il peso delle linee azionarie: 9,2 per cento.

Da segnalare che, nelle linee garantite, finiscono in modo automatico i cosiddetti silenti ovvero coloro che non hanno esplicitamente indicato dove destinare il proprio Tfr.

Le alternative

Come ovvio, a monte di molte di queste scelte c’è spesso la scarsa educazione finanziaria degli italiani e il disinteresse fra i più giovani per i temi previdenziali. Da qui la necessità di campagne informative per spingere, soprattutto i giovani lavoratori, a spostarsi su linee diverse da quelle garantite. Ci sono poi alternative di sistema che alcuni Paesi come Brasile e Cile stanno studiando: titoli di Stato ad hoc per il settore previdenziale.

L’approfondimento

Il tema delle linee garantite previdenziali e delle possibili alternative è cruciale. L’argomento potrà essere approfondito dai lettori su Plus24, il settimanale di finanza personale in edicola domani con il Sole 24 Ore.

Fonte: Sole 24 ore

Credito Iva recuperabile solo se il versamento è fuori dalla tregua fiscale

Per recuperare il credito Iva oggetto di lite occorre il versamento dell’Iva al di fuori dall’ambito della definizione agevolata: è questo in sintesi il principio affermato in due risoluzioni delle Entrate in risposta a specifici interpelli. La questione proposta riguarda la possibilità di recuperare nella prima liquidazione periodica utile o in dichiarazione annuale il credito Iva preteso con un atto di recupero una volta eseguito il versamento. Si tratta ad esempio, dei casi in cui sono state commesse delle irregolarità in sede di compensazione del credito Iva come il superamento dei limiti previsti per ciascun periodo di imposta o l’assenza della fideiussione necessaria per l’utilizzo del credito Iva di gruppo. Non è quindi in discussione la veridicità o la sussistenza del credito, bensì solo una compensazione o detrazione ritenuta non spettante.

In simili ipotesi, l’Agenzia notifica al contribuente un atto di recupero con i quali è pretesa l’Iva, le sanzioni e gli interessi. Se il contribuente versa integralmente l’imposta richiesta, ripristina il credito e può così riportarlo nella prima liquidazione periodica utile o nella dichiarazione annuale Iva per procedere ad una nuova detrazione/compensazione.

Tuttavia, è frequente che provvedimenti di questa natura vengano impugnati dinanzi al giudice tributario, eccependo che l’effettiva esistenza del credito dovrebbe di per sé escludere la necessità di richiederne il versamento e che al più, l’amministrazione dovrebbe limitarsi ad irrogare le sanzioni.

Con specifici interpelli, è stato richiesto all’Agenzia se l’eventuale definizione di tali controversie attraverso le previsioni della c.d. tregua fiscale, consente ai contribuenti di recuperare il credito e quindi di indicarlo nella dichiarazione per la successiva compensazione. L’agenzia delle Entrate con due risposte (422 e 423 del 30 agosto 2023) ha escluso tale possibilità.

Secondo entrambi i documenti di prassi, il versamento delle somme dovute nell’ambito della definizione agevolata della lite pendente ha il solo fine di definire la controversia instaurata con l’amministrazione finanziaria.

Laddove il contribuente intenda «rigenerare» il proprio credito Iva per recuperarlo nuovamente in detrazione nella prima liquidazione periodica o nella dichiarazione annuale, deve versare la relativa somma, al di fuori dell’ambito della definizione agevolata e rinunciare alla controversia con riferimento alla sola imposta pretesa con l’atto impugnato.

Conseguentemente, la lite rimarrebbe pendente solo per la parte di interessi e sanzioni e potrà, a quel punto, essere definita in via agevolata con la presentazione della domanda senza alcun versamento.

Si tratta, infatti, di sanzioni collegate a un tributo (il credito Iva) già versato separatamente (nella specie al di fuori della procedura) e pertanto per la definizione della controversia non è necessario alcun pagamento.

I quesiti posti con entrambi gli interpelli riguardavano liti per la cui definizione era previsto il versamento del 90% del credito. Tuttavia, dal contenuto delle risposte ed ancor di più per una questione prudenziale, è opportuno che anche ove la definizione comportasse il versamento del 100% dell’imposta, il contribuente procedesse al di fuori della procedura agevolata, al fine di non pregiudicarsi il recupero del credito.

Fonte: Il Sole 24 Ore

Incentivi per l’Assunzione dei NEET: Nuova Interpretazione da Parte dell’Inps

L’Inps ha recentemente fornito una nuova interpretazione delle regole relative all’incentivo per l’assunzione dei NEET (Giovani che non studiano, non lavorano e non sono in formazione), delineando i criteri secondo cui viene ridotto l’importo dell’incentivo stesso. Questa nuova visione ha portato a una migliore comprensione delle disposizioni e ha risposto a dubbi sollevati da esperti e operatori del settore.

Riduzione dell’Incentivo e Approccio Soggettivo

La legge prevede una riduzione dell’incentivo al 20% per l’assunzione dei NEET, in caso in cui venga cumulato con altri benefici riconosciuti dalla legislazione vigente. Tuttavia, l’Inps ha chiarito che questa riduzione deve essere applicata in modo soggettivo, non oggettivo. In altre parole, l’abbattimento al 20% non si applica quando il datore di lavoro è chiamato a riconoscere al lavoratore il taglio del cuneo fiscale, in quanto questo vantaggio è a favore del lavoratore e non dell’azienda.

Questa interpretazione fornisce maggiore chiarezza sull’ambito di applicazione dell’incentivo e sulla sua interazione con altri benefici fiscali.

Risposta dell’Inps e Nuove Linee Guida

L’Inps ha risposto ai dubbi sollevati da diverse fonti, incluso il Sole 24 Ore, fornendo un nuovo punto di vista che supera le critiche iniziali alla circolare 68/2023. L’ente previdenziale ha invitato i datori di lavoro che avevano già presentato domande telematiche con la riduzione del 20% a causa del cumulo con l’esonero parziale dei contributi previdenziali, a cancellare la domanda e a presentarne una nuova per ottenere l’intera riduzione del 60%.

Nonostante l’Inps non abbia specificato la procedura esatta per il trattamento delle nuove richieste, si ipotizza che verrà tenuta in considerazione la data della prima istanza annullata.

Scadenze e Procedure

L’Inps ha ribadito le scadenze per la presentazione delle domande. Le richieste presentate nei 15 giorni successivi alla data di rilascio del modulo telematico di richiesta dell’incentivo, ovvero entro il 15 agosto 2023, verranno elaborate in base all’ordine cronologico di decorrenza dell’assunzione. Per le assunzioni effettuate a partire dal 31 luglio 2023, il criterio di accoglimento delle domande si basa sulla data di presentazione dell’istanza stessa.

Stanziamenti e Futuro

In chiusura, è importante sottolineare gli stanziamenti previsti per questa misura. Secondo il Decreto Legge 48/2023, le risorse disponibili per l’anno 2023 sono pari a 24,4 milioni di euro, mentre per il 2024 salgono a 61,3 milioni. Questo sottolinea l’impegno del governo nel sostenere l’occupazione giovanile e affrontare il problema dei NEET.

In definitiva, la nuova interpretazione fornita dall’Inps ha chiarito aspetti cruciali dell’incentivo per l’assunzione dei NEET, offrendo maggiore certezza sia ai datori di lavoro che ai giovani in cerca di opportunità lavorative.

Riforma Fiscale: Focus sul Lavoro Autonomo nel Disegno di Legge Delega

Nel quadro della riforma fiscale, il disegno di legge delega assegna un’attenzione significativa al lavoro autonomo, rappresentando una parte sostanziale della ristrutturazione del modello di imposizione sui redditi delle persone fisiche.

Aggiunta di Obiettivi nella Fase Parlamentare

La fase dei lavori parlamentari ha introdotto ulteriori obiettivi nell’articolato della legge delega, mantenendo l’impostazione originaria. Nella transizione alla Camera dei Deputati, è stata aggiunta l’obiettivo di razionalizzare la distribuzione temporale del carico fiscale sulle persone fisiche in regime di partita IVA. Questo aspetto si riscontra nella lettera f) del comma 1 dell’articolo 5 del disegno di legge, che si concentra sui redditi di lavoro autonomo. Questa lettera si compone ora di due parti ben distinte:

  1. La prima parte mira a consentire ai lavoratori autonomi, agli imprenditori individuali e in generale a coloro ai quali si applicano gli studi di settore la possibilità di effettuare i versamenti degli acconti e dei saldi delle imposte sui redditi con frequenza mensile.
  2. La seconda parte si focalizza sulla semplificazione e razionalizzazione dei criteri per definire il reddito derivante da attività professionali e artistiche.

Nuovi Meccanismi di Versamento e Definizione del Reddito

Per quanto riguarda il primo punto, è probabile che con l’implementazione di questa delega, i contribuenti interessati avranno la possibilità di optare per il versamento rateizzato del secondo acconto delle imposte sui redditi, simile a quanto già possibile per il saldo e il primo acconto.

Per quanto concerne la seconda parte, il fine sarà raggiunto attraverso cinque azioni specifiche.

  1. Riduzione delle Deducibilità: Si prevede l’inclusione nel reddito di lavoro autonomo di tutti gli importi e i valori ottenuti da qualsiasi fonte durante l’esercizio dell’attività professionale o artistica. Le spese sostenute dal professionista e rimborsate successivamente dal cliente non saranno più deducibili dal reddito imponibile.
  2. Cambiamenti nella Temporalità degli Incassi: Si propone una revisione del criterio di registrazione temporale dei compensi incassati dai professionisti, allineandolo al momento in cui viene effettuata la ritenuta da parte dei committenti. In altre parole, l’imputazione avverrà quando le somme escono dalla disponibilità del cliente, piuttosto che al momento dell’accredito.
  3. Equiparazione tra Acquisto e Leasing: Si intende equiparare l’acquisto in proprietà degli immobili strumentali o adibiti all’esercizio professionale all’acquisizione tramite leasing. Attualmente, i canoni leasing possono essere dedotti per almeno 12 anni, mentre per gli immobili acquisiti in proprietà non è possibile.
  4. Riduzione delle Ritenute d’Acconto: Si mira a evitare che i professionisti accumulino situazioni creditorie verso l’Erario attraverso una riduzione delle ritenute d’acconto per coloro che dipendono da professionisti con dipendenti e collaboratori.
  5. Aggregazioni Professionali: Si prevede l’applicazione del principio di neutralità fiscale alle operazioni di aggregazione e riorganizzazione degli studi professionali, inclusa la trasformazione da associazioni professionali a società tra professionisti.

Immobili ammortizzabili fuori dal pro rata Iva

Cessione di fabbricati abitativi e strumentali destinati alla locazione, classificati quali «beni ammortizzabili», non rientra nel pro-rata di detraibilità, anche se in concreto gli immobili costituiscono oggetto dell’attività d’impresa.

Con la risposta ad interpello 413/2023, l’agenzia delle Entrate fornisce un’interpretazione dell’articolo 19-bis, comma 2, del Dpr 633/72 fortemente vincolata al diritto interno, nello specifico alle norme del Tuir sui beni ammortizzabili.

Il caso coinvolge un ente pubblico avente natura economica che cede, nell’ambito della sua attività d’impresa, dei fabbricati abitativi e strumentali destinati alla locazione, considerando tali cessioni fuori dal calcolo del pro-rata di detrazione (come previsto all’articolo 19-bis, comma 2, Dpr 633/72: «Per il calcolo della percentuale di detrazione di cui al comma 1 non si tiene conto delle cessioni di beni ammortizzabili»). Ciò in quanto ai fini della redazione del bilancio, considera tali immobili quali «beni ammortizzabili» in base al principio contabile Oic 16.

Lo stesso Ente vorrebbe però includere tali operazioni nel calcolo del pro-rata, in quanto nella pratica la compravendita degli stessi immobili rientra nella sua abituale attività di impresa.

Dopo una ricognizione delle norme (articolo 174, paragrafo 2, della direttiva Iva e articolo 19-bis Dpr 633/72), pur valutata la nozione di «beni d’investimento» come interpretata dalla Cgue nella sentenza causa C-98/07, le Entrate giungono alla conclusione di vincolare il concetto «beni ammortizzabili» ai fini Iva al mondo delle imposte dirette. Pertanto, poiché il bene è stato qualificato come tale ai fini del Tuir, anche ai fini Iva deve considerarsi «ammortizzabile» e, di conseguenza, la relativa cessione resta esclusa dal calcolo del pro-rata di detraibilità.

Secondo quanto espresso dalla Corte nella richiamata sentenza, tuttavia, il concetto di «beni d’investimento» previsto dalla direttiva, e declinato sul piano interno con l’espressione «beni ammortizzabili», non può comprendere quelli la cui vendita riveste, per il soggetto passivo interessato, il carattere di un’attività economica usuale.

Nonostante l’Ente in questione tratti tali immobili quali beni ammortizzabili ai fini delle imposte dirette, dalla descrizione della fattispecie sembrerebbe piuttosto che le cessioni degli stessi rientrino nell’ordinaria attività d’impresa e che pertanto, ai fini Iva, non andrebbero inclusi nei «beni d’investimento» (i.e. «beni ammortizzabili» ex articolo 19-bis, comma 2, del Dpr 633/72).

Tuttavia, la soluzione proposta dall’Istante non è accolta dalle Entrate che, in definitiva, ritengono che non concorrono alla formazione del pro-rata le cessioni dei fabbricati che l’istante ha qualificato quali beni fiscalmente ammortizzabili ai fini delle imposte dirette.

Fonte: Il Sole 24 Ore

A ottobre operativa la piattaforma per la ricongiunzione tra Casse e Inps

Più facile per i professionisti iscritti alle Casse di previdenza la ricongiunzione dei contributi versati all’Inps.

Grazie a una convenzione quadro siglata tra l’Istituto nazionale di previdenza sociale e l’Adepp, l’associazione degli enti di previdenza privati è stato avviato un sistema per lo scambio telematico di comunicazioni necessarie per l’esercizio della facoltà di ricongiunzione. Il sistema, secondo Adepp, sarà operativo da ottobre. «Al momento due Casse “pilota”, una grande e una piccola, stanno effettuando i test di natura amministrativa e operativa – spiegano da Adepp – conclusi i test e implementate le procedure informatiche e telematiche ogni Cassa dovrà sottoscrivere con l’Inps una convenzione, passaggio necessario per l’avvio della nuova procedura».

L’iter telematico, che consente di semplificare la ricongiunzione e ridurre i tempi, sarà inizialmente operativo per i professionisti che intendono trasferire presso la propria Cassa di previdenza i contributi versati all’Inps. Lo step successivo, che consentirà di trasferire all’Inps i contributi versati alla Cassa, dovrebbe essere operativo tra dicembre e gennaio.

L’attuale iter per la ricongiunzione prevede la presentazione della documentazione cartacea e richiede almeno tre mesi; con l’avvio della nuova piattaforma il tempo necessario per effettuare la ricongiunzione scende a un mese, la documentazione viaggerà tutta via web e si abbasseranno gli oneri a carico del lavoratore/professionista.

Fonte: Il Sole 24 Ore

Sul mutuo agevolato ritenuta effettuata anche se la busta paga è incapiente

Il mutuo o il finanziamento a tasso agevolato riconosciuto dal datore di lavoro (o da un intermediario finanziario convenzionato) al dipendente e cointestato con il coniuge è soggetto alla disciplina dei fringe benefit regolata dall’articolo 51, comma 4, lettera b) del Tuir, e la quantificazione deve essere effettuato sulla base dell’intera “quota interessi”. Viceversa, qualora il mutuo sia cointestato con un soggetto diverso dal coniuge o da altro familiare, tra quelli indicati dall’articolo 12 del Tuir, come un convivente che non rientri nella predetta elencazione, il calcolo deve esser effettuato sulla base della sola “quota interessi” imputabile al dipendente che ha sottoscritto il finanziamento. Questa una delle indicazioni contenute nella risoluzione 44/2023 dell’agenzia delle Entrate.

Infatti nella nozione di reddito di lavoro dipendente rientrano gli emolumenti in denaro, i beni e i servizi erogati al coniuge del dipendente o ai familiari indicati nell’articolo 12 del Tuir, anche se non fiscalmente a carico, ma non nei confronti di altri soggetti.

Con riferimento alla concessione di mutui e prestiti, l’articolo 51 prevede che, ai fini della quantificazione del reddito in natura, «si assume il 50 % della differenza tra l’importo degli interessi calcolato al tasso ufficiale di sconto (ora tasso ufficiale di riferimento, ndr) vigente al termine di ciascun anno e l’importo degli interessi calcolato al tasso applicato sugli stessi».

Il momento di applicazione della ritenuta e? quello del pagamento delle singole rate del prestito come stabilite dal relativo piano di ammortamento. Posto che la ritenuta deve essere operata sull’ammontare complessivo delle somme e dei valori corrisposti in ciascun periodo di paga, e che nel caso dei finanziamenti si considera il Tur vigente al 31 dicembre dell’anno precedente, in occasione del conguaglio di fine anno si dovrà invece applicare il Tur vigente al termine del periodo d’imposta cui ci si riferisce.

A tal proposito, l’Agenzia nella risoluzione rammenta che, seppure la ritenuta da operare sui valori relativi ai compensi in natura non trovasse capienza nei contestuali pagamenti in denaro del datore (ad esempio busta paga con saldo negativo), il dipendente sarebbe comunque obbligato a fornire al sostituto le somme necessarie al versamento.

L’Agenzia, infine, sottolinea che il sostituto è sempre tenuto a versare le ritenute all’erario nei termini ordinariamente previsti, anche ove il dipendente non avesse ancora provveduto al pagamento.

Fonte: Il Sole 24 ore

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Nel lavoro lo stipendio alto è il requisito più ricercato

L’innesto di tecnologia e nuovi modelli organizzativi sulla questione generazionale ha profondamente cambiato l’approccio delle diverse generazioni al mercato del lavoro. E ha complicato la gestione delle risorse umane. Una ricerca di Assirm per Confindustria Intellect, con il contributo di Bilendi, GfK, IZI, ha indagato il tema della nuova relazione con il mondo del lavoro, prendendo un campione di 1000 intervistati, rappresentativi di circa 26,5 milioni di italiani dai 18 ai 55 anni, occupati e non. Emerge un universo valoriale in cui la vita privata prende il sopravvento, soprattutto tra chi è più giovane, e una buona retribuzione viene considerata centrale. Matteo Lucchi, presidente di Assirm e vicepresidente vicario di Confindustria Intellect, spiega che «ci sono 2 elementi di complicazione che emergono rispetto al passato. Il primo è dato dal fatto che con la pandemia abbiamo fatto delle riflessioni su noi stessi più analitiche. Il secondo è che oggi gli elementi alla base della soddisfazione del lavoro sono tanti. Questo fa sì che dovendo definire un podio devo mettere 3 vincitori, tre primi. Ma con una complicazione in più, data dal fatto che hanno un peso non analogo per le diverse generazioni».

Se consideriamo la media delle risposte, un lavoro che soddisfa combina l’equilibrio con la vita privata, come dice il 55% degli intervistati, il self improvement (55%), e la retribuzione e i benefit (53%) che continuano ad avere un peso centrale. C’è però un fattore su cui in molti (55%), almeno a parole sarebbero disposti ad un piccolo arretramento economico e cioè poter lavorare un giorno in meno alla settimana. «Flessibilità degli orari e smart working rappresentano qualcosa di ormai dato per scontato per i più giovani, ma sono vissuti quasi come un benefit per i più maturi. Sicuramente è fondamentale per gli occupati del terziario», interpreta Lucchi.

Se guardiamo alle medie, il livello di soddisfazione del proprio lavoro cresce con l’avanzare dell’età: è il 49% tra chi ha 18-24 anni e arriva al 66% nell’ultima fascia considerata, quella dei 45-54enni. Il lavoro per gli italiani ruota soprattutto attorno a due fattori: ambizione e sfida da un lato e necessità dall’altro. Seguono componenti di progettualità e istanze di autoespressione. Le risposte che indicano la ricerca di senso, però, cambiano a seconda dell’età: tra i 18-24enni il 27% dice un modo per realizzarsi, il 24% un’ambizione e il 22% una necessità. A mano a mano che si sale con l’età il tema dominante diventa la necessità.

Immaginando un nuovo lavoro, nella top five di quello ideale, in media, al primo posto c’è una buona retribuzione con il 61% delle risposte, seguita, allo stesso livello (58%) dal trattamento equo dei lavoratori e da un contesto di lavoro stimolante. Declinando le risposte per fasce generazionali, però, la gerarchia delle risposte cambia. Tra i 18-24enni predomina il trattamento equo dei dipendenti (68%), seguito dal contesto di lavoro stimolante (67%) e dalla buona retribuzione (66%). A mano a mano che l’età sale prevale la buona retribuzione.

Gli ingredienti sono tanti e tenerli insieme è tutt’altro che semplice, proprio per le differenze generazionali. Saverio Addante, presidente di Confindustria Intellect, osserva che «la condizione per contribuire al successo organizzativo ricercato dal sistema Impresa Italia include la capacità di adattarsi rapidamente ai cambiamenti, essere flessibili nel pensiero e nell’approccio, ma anche l’integrità, l’ambiente collaborativo e i comportamenti etici. E poi abilità di gestire e ispirare gli altri». Ma non solo. «Richiede anche uno sforzo del Governo verso visioni innovative che vadano oltre il mero assistenzialismo – aggiunge Addante -. Elegante sarebbe oggi parlare anziché di una Cassa Integrazione per il “caldo”, di un imponente progetto di costruzione del valore, che potrebbe passare per esempio da un Credito di Imposta forte sul condizionamento ecosostenibile delle sedi aziendali».

Fonte: Il sole 24 ore

Più burocrazia ed efficacia da valutare

L’applicazione della nuova normativa sul whistleblowing interesserà per ora le imprese pubbliche e quelle private più grandi, che hanno spesso già adottato il modello 231 per la gestione dei processi aziendali allo scopo di ridurre il rischio di illeciti. Realtà che probabilmente dovranno limitarsi ad adeguare le procedure ai nuovi requisiti, mentre le medie imprese dovranno predisporre un ufficio specifico con costi aggiuntivi. Interventi giustificati dall’importanza del provvedimento, sulla cui efficacia, tuttavia, non sono convinti tutti gli addetti ai lavori, sia sul fronte aziendale, sia su quello sindacale.

Secondo Matilde Marandola, presidente nazionale Aidp, l’Associazione Italiana per la direzione del personale «l’entrata in vigore del Dlgs 24/2023 rappresenta un’importante svolta per il Paese. Per le imprese l’introduzione dell’obbligo di istituire canali di segnalazione interna e di adottare strumenti concreti per tutelare i segnalanti implicherà la designazione di un responsabile del processo, all’interno dell’organizzazione, che abbia sviluppato determinate competenze o, in alternativa, bisognerà organizzarsi in outsourcing. Credo che l’aspetto da tenere sotto controllo sarà quello culturale, per evitare “delazioni” e conflittualità. Come sempre, Aidp è disponibile a fare da punto di riferimento per le sperimentazioni che guardano al futuro».

Più di qualche perplessità manifesta Vincenzo Di Marco, direttore Hr, Qualità e Sicurezza di Pellegrini Spa, colosso della ristorazione con 10mila dipendenti e oltre 800 milioni di fatturato nel 2022. «Sul tema a mio avviso c’è poco da dire – sottolinea Di Marco – se non che, come di consueto, l’utilizzo dello strumento sarà basso e gli adempimenti rappresenteranno un ulteriore appesantimento burocratico per le aziende. Si tratta principalmente di una questione culturale: chi ha lavorato in multinazionali e ha già applicato il whistleblowing potrà raccontare di una scarsa adesione in Italia, dove le segnalazioni seguono altre strade, spesso anche non particolarmente nobili o attendibili, come quella delle lettere anonime». Di Marco, che si dice «curioso rispetto all’applicazione del whistleblowing in materia di antitrust», anticipa che sulle modalità di utilizzo del canale interno in azienda si deciderà questa settimana, così come sulla scelta di figure come quella del cosiddetto facilitatore, «non facile da reperire, a conferma che si continua a mettere sulle spalle delle imprese adempimenti non semplici».

Per Pietro Scrimieri, direttore Risorse umane e Organizzazione di Acquedotto Pugliese Spa, con reti idriche al servizio di 4 milioni di cittadini, 12mila chilometri di reti fognarie e 184 depuratori, tra i maggiori player nazionali nella gestione del ciclo idrico integrato, «oggettivamente le novità normative comportano un aggravio burocratico, tuttavia Acquedotto Pugliese, in quanto società a controllo pubblico con circa 2.250 dipendenti e un valore della produzione di oltre 741,7 milioni, è già organizzata in tal senso da quattro anni». La Spa sta aggiornando le procedure per una rapida applicazione delle norme: «per quanto ci riguarda – aggiunge Scrimieri – la novità più sostanziale è l’allargamento della tutela ai cosiddetti facilitatori: dai sindacati ai parenti di chi effettua la segnalazione».

Su un possibile cambio di passo legato alla nuova normativa è pessimista Lando Maria Sileoni, segretario generale di Fabi, con oltre 118mila iscritti tra Abi e Bcc il più rappresentativo sindacato del credito. «Finora – dice – l’esperienza del whistleblowing almeno nel mio settore è stata totalmente negativa in quanto, nato come strumento di trasparenza, è stato invece utilizzato molte volte per farsi la guerra ai livelli dirigenziali più alti. Io personalmente ho gestito abusi di ogni genere partiti da lettere anonime. Il mio timore, inoltre, è che ci si possa trovare di fronte anche a uno strumento di pressione commerciale, che già abbiamo e combattiamo». Alla luce del fatto che nella definizione del canale interno di segnalazione vanno sentite le rappresentanze sindacali, Sileoni ha annunciato che verrà chiesto un immediato confronto sia nei gruppi, sia in Abi.

Fonte: Il sole 24 ore

Casse private: va misurata anche la capacità di fare welfare

Le Casse di previdenza dei professionisti sono un punto di riferimento per la qualità degli investimenti finanziari. A dirlo la ministra del Lavoro Marina Elvira Calderone dal palco di Previdenza in Tour, l’appuntamento annuale che Cassa dottori commercialisti organizza per dialogare con i rappresentanti del mondo politico, accademico e delle istituzioni sui temi legati al mondo del lavoro, delle professioni e della previdenza. Calderone ricorda che con la privatizzazione (il Dlgs 509 è del 1994) le Casse hanno ereditato un debito latente che in meno di quarant’anni è diventato un patrimonio di oltre 108 miliardi. «Un patrimonio che ha giocato un importante ruolo di assistenza e di accompagnamento – afferma Calderone – e che è importante tradurre in investimenti in economia reale».

Il riferimento è al decreto che porrà le regole-quadro per gli investimenti finanziari delle Casse; un decreto di cui si parla dal 2011 e che, assicura il sottosegretario all’Economia Federico Freni, nel corso del suo intervento, sarà pubblicato a breve. Un provvedimento che, afferma Freni, «rispetta la sovrana autonomia delle Casse di previdenza». Freni, ricordando che i 108 miliardi di patrimonio delle Casse al momento sono «saggiamente investiti», sottolinea che «si tratta di risorse che potranno contribuire a operazioni di sistema, a una condizione irrinunciabile, la pari dignità tra investitori».

L’incontro di ieri è stata l’occasione per immaginare il prossimo futuro delle professioni e della loro previdenza. Dal confronto emerge il bisogno di aggiornare regole oramai datate.

La ministra Calderone ha parlato della necessità di rivedere la riforma delle professioni, che oramai ha più di 11 anni; mentre il sottosegretario Freni sostiene che non si possa ragionare di previdenza con gli schemi di 30 anni fa. Una necessità di cui ha parlato anche il presidente di Cassa dottori Stefano Distilli che chiede ai politici di «integrare le rigide impostazioni del passato, con nuovi parametri che misurino non solo l’equilibrio di lungo periodo ma anche la capacità di intervenire in favore degli iscritti anche nel breve e medio periodo». Un’azione di welfare che nell’emergenza Covid le Casse hanno svolto anticipando gli aiuti messi in campo dal Governo. Tra questi rientra l’esonero parziale dei contributi previdenziali per i lavoratori autonomi meno abbienti; è di due giorni fa la nota del ministero del Lavoro che informa le Casse che per il rimborso di quanto hanno anticipato è stata chiesta una variazione in aumento in termini di cassa in sede di assestamento di bilancio e si attende l’assegnazione delle risorse necessarie.

Tra le novità normative che hanno un’importante ricaduta sulle professioni, in particolare di commercialisti e avvocati, il vice ministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto ricorda la composizione negoziata crisi d’impresa, «un cambiamento epocale – sottolinea il vice ministro – dove lo Stato abbandona un ruolo inquisitorio per lasciare spazio a un dialogo tra Stato e impresa, dove i professionisti, in particolare commercialisti e avvocati, hanno il ruolo di garante».

Un tema sollevato in più interventi è quello dei giovani. «Con la norma sull’equo compenso – ha detto ieri Sisto – è stato dato loro un segnale importante; è vero che la norma è migliorabile – prosegue Sisto – si può allargare la platea e intervenire sui rapporti vigente quando ci saranno risorse, intanto si sta già lavorando per aggiornare le tariffe professionali».

Per Sisto sarà importante avvicinare i giovani alle professioni già durante l’università. Una strada che Cassa dottori commercialisti, ricorda il presidente dell’ente Stefano Distilli, ha già intrapreso con un seminario che si è concluso il mese scorso svolto all’Università la Sapienza di Roma, inserito nel percorso formativo della facoltà di Economia con il riconoscimento di crediti formativi. «Nel corso degli incontri – racconta Distilli – si è parlato della professione e della previdenza».

La formazione, anche previdenziale, è certamente una leva su cui investire. Ne è convinto anche il presidente dell’Adepp, l’associazione delle Casse di previdenza dei professionisti, Alberto Oliveti, che parla della necessità di una «formazione puntuale per far capire che versare i contributi previdenziali non significa pagare tasse, entrambe sono cose fondamentali ma la previdenza ha una funzione di ritorno su chi produce questo reddito, le tasse hanno una funzione di sostegno per l’intero sistema».

FONTE: IL SOLE 24 ORE