Aliquote, subito la riclassificazione dei beni

Il capitolo di più difficile attuazione, per vincoli di bilancio e per interessi in gioco, è, in materia Iva, quello della riforma delle aliquote. In questo campo, il legislatore delegato dovrà intervenire, tenendo in debita considerazione, le regole unionali imposte dalla direttiva 2022/542/UE. Proprio questa direttiva imporrà nell’immediato una serie di scelte relativamente al numero di aliquote ridotte e alla tipologia di beni e servizi che lo Stato vuole continuare ad agevolare ovvero su cui vuole investire per il futuro.

Nella sostanza gli obiettivi imposti dalla delega sono costituiti:

dalla omogeneizzazione del trattamento per beni e servizi similari;

da una rivisitazione, nella logica del precedente alinea, degli elementi di identificazione dei beni e servizi con un preciso richiamo alla nomenclatura combinata ovvero alla classificazione statistica;

dalla volontà di agevolare beni e servizi destinati a soddisfare, a livello di consumatori finali, le esigenze di maggiore rilevanza sociale.

A questi obiettivi che ricalcano, in buona parte, i principi imposti dalla citata direttiva si aggiungono regole particolari per l’importazione di opere d’arte, con estensione dell’aliquota ridotta anche alle cessioni di aggetti d’arte, di antiquariato o da collezione.

Sulle scelte del legislatore si impone poi una prima scadenza unionale, che prescinde dall’attuazione della delega, del 7 ottobre 2023, data in cui l’Italia potrà adottare una aliquota ridotta tra quelle scelte dagli altri Stati membri in passato fuori da quelle previste dall’allegato III della direttiva Iva.

Ritornando alla delega un punto su cui si attende una sicura risposta e che per gli operatori costituisce un primo effettivo risultato è la riclassificazione dei beni con aggiornamento della tariffa allegata al Dpr 633/1972. Questa operazione che, come detto, dovrebbe, prevalentemente, fare perno sulla nomenclatura combinata doganale ovvero sulla classificazione statistica di beni e servizi, è particolarmente importante perché consentirà agli operatori di avere una guida aggiornata dei criteri di identificazione dell’aliquota applicabile alle singole transazioni. In effetti, non passa settimana che l’agenzia delle Entrate, di concerto con l’agenzia delle Dogane è chiamata a risolvere dubbi degli operatori su quale sia la corretta aliquota da applicare. Speriamo che questa operazione non si realizzi con eccessiva rigidità applicativa perché in alcuni casi il riferimento a classificazioni standardizzate non agevola il raggiungimento di finalità (quali l’interesse generale e sociale) che poco si sposano con le classificazioni commerciali e statistiche delle singole operazioni.

Prova ne sia l’annosa querelle che si è sviluppata, ad esempio, per le lettiere per gatto costitute da prodotti vegetali in cui la mera classificazione per materia ha portato l’interprete ad applicare una aliquota ridotta senza tener conto, come oggi ribadisce il principio di diritto espresso dalla Corte di cassazione con l’ordinanza 24441/2023 pubblicata il 10 agosto scorso, del profilo funzionale dell’oggetto importato e commercializzato.

Fonte: Il sole 24 ore

Incentivo tecnici Pa, pronto il decreto Mef

Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto del ministero dell’Economia (n. 116/2023) che disciplina, come da prassi, le regole per la ripartizione dell’incentivo per le funzioni tecniche, in base all’articolo 113 del vecchio Codice appalti (Dlgs n. 50/2016).

Il fondo è costituito da un importo pari alla percentuale massima del 2% dell’importo posto a base di gara o a base del contratto, per ciascun lavoro, servizio o fornitura, al netto dell’Iva. La percentuale scende all’aumentare del valore dei contratti: oltre i 20 milioni si arriva all’1 per cento nei contratti di lavori. In caso di ricorso a perizie di varianti in corso d’opera, la quota percentuale da destinare al fondo per ciascun appalto sarà calcolata sul nuovo importo lordo di perizia. Le varianti che si sono rese necessarie a causa di errori od omissioni di progettazione e che hanno comportato un aumento del costo iniziale dell’appalto non concorrono ad alimentare il fondo.

Destinatari dell’incentivo per le funzioni tecniche sono i dipendenti che svolgono le diverse attività legate all’appalto: dalla progettazione al collaudo, passando per direzione lavori e attività di programmazione degli appalti. Al riparto partecipano anche i collaboratori ai quali è stato conferito l’incarico dal dirigente competente per la procedura di affidamento «con provvedimento espresso». Nei casi in cui al medesimo dipendente vengano assegnate più funzioni, le quote dell’incentivo sono cumulabili tra loro.

Gli incentivi complessivamente corrisposti in un anno al singolo dipendente, anche da altre amministrazioni, non possono superare l’importo del 50% del suo trattamento economico complessivo annuo lordo, previsto per la qualifica e fascia economica rivestita.

FONTE: IL SOLE 24 ORE

Commercio estero: Coldiretti, record storico agroalimentare

Roma, 11 ago. -Con un aumento dell’8,6% è record storico per l’export agroalimentare italiano nel mondo che nei primi sei mesi del 2023 sfiora i 32 miliardi di euro in valore nonostante le tensioni internazionali sugli scambi mondiali di beni e servizi legati alla guerra in Ucraina. E’ quanto emerge dall’analisi della Coldiretti sulla base dei dati Istat sul commercio estero relativi a giugno 2023.
Tra i principali Paesi, la crescita più netta per il Made in Italy a tavola si segnala in Francia con un aumento del 15,5% delle esportazioni alimentari, davanti a Gran Bretagna (+12,6%) e Germania (+11,6%) che resta comunque il principale mercato di sbocco. Ma il cibo tricolore va forte anche nella Russia di Putin, con un aumento del 10,5%, e in Cina (+3,2%). Tra i prodotti il re dell’export si conferma il vino, davanti a frutta e verdura fresca. Mma nel paniere del Made in Italy all’estero recitano un ruolo importante anche pasta, formaggi, olio d’oliva e salumi.

“Per sostenere il trend di crescita dell’enogastronomia nazionale serve ora agire sui ritardi strutturali dell’Italia e sbloccare tutte le infrastrutture che migliorerebbero i collegamenti tra Sud e Nord del Paese, ma anche con il resto del mondo per via marittima e ferroviaria in alta velocità, con una rete di snodi composta da aeroporti, treni e cargo”, sottolinea il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, che evidenzia “l’importanza di cogliere l’opportunità del Pnrr per modernizzare la logistica nazionale che ogni anno rappresenta per il nostro Paese un danno in termini di minor opportunità di export. Ma”, aggiunge, “è importante lavorare anche sull’internazionalizzazione per sostenere le imprese che vogliono conquistare nuovi mercati e rafforzare quelli consolidati valorizzando il ruolo strategico dell’Ice e con il sostegno delle ambasciate. L’obiettivo – conclude Prandini – è portare il valore annuale dell’export agroalimentare a 100 miliardi nel 2030”.

Nuove Regole per i Crediti “Bloccati” nella Cessione del Credito Edilizio

Un nuovo obbligo di comunicazione sta per entrare in vigore nel mondo della cessione del credito edilizio e degli sconti in fattura per i bonus edilizi. Nel recentemente approvato decreto Omnibus, varato durante la seduta del Consiglio dei Ministri del lunedì, si inserisce non solo la proroga del 110% per i bonifici e i lavori sulle abitazioni private, da completare entro il 31 dicembre 2023, ma anche un nuovo adempimento imposto agli acquirenti di crediti in una situazione di inutilizzabilità, che vada oltre la scadenza dei termini per l’impiego in compensazione.

Nuova Procedura di Comunicazione

In pratica, chiunque acquisti crediti inutilizzabili sarà tenuto a comunicare tale situazione all’Agenzia delle Entrate entro 30 giorni dalla scoperta dell’evento che ha causato questa inutilizzabilità. Questa misura, tuttavia, non è priva di conseguenze finanziarie: chi non rispetterà questa comunicazione affronterà una sanzione amministrativa di 100 euro.

Nonostante l’entrata in vigore della nuova procedura sia prevista 60 giorni dopo l’approvazione del decreto, questo lasso di tempo sarà dedicato alla definizione delle procedure operative. Inoltre, potrebbero verificarsi ulteriori modifiche mentre il provvedimento passa attraverso il processo di approvazione parlamentare.

Migliorare la Tracciabilità dei Crediti

L’obiettivo principale di questa nuova regola è migliorare la tracciabilità dei crediti bloccati lungo il percorso delle cessioni dei bonus fiscali edilizi. Tuttavia, va notato che questa misura riguarda solo i crediti per i quali è stata già eseguita una comunicazione di accettazione e quindi hanno già un acquirente. Questo passo è un tentativo di affrontare il problema delle cessioni errate o non rifiutate dai cessionari, come evidenziato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze in risposta a un’interrogazione del Movimento 5 Stelle in commissione Finanze alla Camera.

Ripresa degli Acquisti di Crediti Edilizi

Nel frattempo, le principali aziende coinvolte nella cessione di crediti edilizi stanno annunciando la ripresa graduale delle attività. Poste ha annunciato che a partire da ottobre riprenderà gli acquisti di crediti di bonus edilizi. Parallelamente, anche Enel X sta riattivando gradualmente il processo di acquisto di crediti fiscali da soggetti con cui aveva precedentemente stipulato contratti. Tuttavia, questi acquisti saranno effettuati solo nel rispetto delle condizioni contrattuali e delle regole di riferimento stabilite.

Sulle villette proroga in arrivo di altri tre mesi

Non c’è solo la garanzia Sace a supporto delle difficoltà a compensare i crediti. Il Governo studia altre due misure per cercare di dare ossigeno a proprietari e imprese rimasti coinvolti nella gimcana per le cessioni dei bonus legati agli interventi del 110% e delle altri interventi edilizi agevolati. La prima punta a estendere di tre mesi, nel rispetto dei vincoli attualmente previsti, l’orizzonte temporale per completare i lavori e i bonifici che consentono ancora l’accesso al 110%: la scadenza attuale del 30 settembre verrebbe spostata al 31 dicembre 2023. La seconda, invece, punta a garantire le imprese che si trovano in difficoltà anche per l’impossibilità di trovare uno sbocco ai crediti da bonus edilizi rimasti in “pancia”. La leva su cui intervenire è quella del Durc (il documento unico di regolarità contributiva): l’ipotesi da mettere a terra è la possibilità di prevedere una sorta di margine di tolleranza per chi non riesce a ottenere la regolarità contributiva in tempo. I margini dell’operazione sono strettissimi, perché incombe la pausa prima di Ferragosto e va valutata la fattibilità tecnica. Come emerso nel tavolo tecnico, che si è svolto al ministero dell’Economia e a cui hanno partecipato sia il ministro Giancarlo Giorgetti che il viceministro con delega alle Finanze Maurizio Leo, si punta a intervenire già nel decreto Omnibus che il Governo ha messo in agenda per il Consiglio dei ministri di lunedì.

Lo slittamento di altri tre mesi del termine per villette e unifamiliari arriva dopo che già la conversione del decreto blocca-cessioni della scorsa primavera (Dl 11/2023) aveva portato la scadenza (precedentemente prevista al 31 marzo 2023) al 30 settembre 2023. Ora l’intenzione dell’Esecutivo è di concedere ai proprietari anche l’ultimo trimestre dell’anno per finire di pagare i lavori, spostando così la scadenza al 31 dicembre 2023. La condizione, però, rimane sempre la stessa: alla data del 30 settembre 2022 dovevano essere stati effettuati lavori per almeno il 30% dell’intervento complessivo. L’obiettivo è di favorire tutti quei contribuenti e quelle imprese che hanno interventi avviati ma che a causa dei ritardi nell’avanzamento dei cantieri hanno necessità di ulteriore tempo per saldare i conti e definire i lavori. Per il momento restano, invece, “congelate” le richieste avanzate dalle associazioni di categoria e quelle dei cosiddetti “esodati” del superbonus di ottenere un rinvio anche per i lavori in condomonio senza incappare nella mannaia della riduzioni già previste per le percentuali di agevolazione. Ogni decisione in merito sarà rinviata in autunno e più precisamente al varo della nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (Nadef). In quel contesto, l’Esecutivo avrà una visuale più nitida delle risorse disponibili ed eventualmente potrà decidere se e quanto destinare proprio alle proroghe.

Ma l’autunno sarà anche il momento per una riscrittura complessiva delle agevolazioni edilizie. Su questo fronte, si è già mosso negli ultimi mesi Enrico Zanetti, il consigliere del ministro Giorgetti, che ha in mano il dossier dei bonus casa. L’idea è di rendere le agevolazioni più selettive, scremando la platea dei potenziali beneficiari, andando a premiare gli interventi destinati a migliorare l’efficienza energetica e favorendo i nuclei familiari meno abbienti come del resto già fatto con l’introduzione del quoziente familiare con un reddito non superiore a 15mila euro. Il finanziamento della riscrittura dei bonus sarebbe già previsto dal riposizionamento dei fondi del Pnrr.

Anche il Parlamento si è mosso con una serie di proposte. C’è, ad esempio, quella depositata alla Camera dalla Lega (primo firmatario Alberto Gusmeroli) che punta a calibrare le agevolazioni edilizie su chi ha più difficoltà economiche (e quindi non può accedere a interventi spesso molto onerosi). In pratica, se un cittadino è fiscalmente capiente, il bonus avrà una percentuale del 60% e sarà utilizzabile da cinque a 20 anni. Se, invece, non è capiente da un punto di vista fiscale (o meno abbiente) potrà avere uno vantaggio a copertura del costo, quindi pari al 100%, e potrà anche avere lo sconto in fattura e la cessione del credito. Sul tavolo c’è poi anche la proposta dell’Ance che mira a un bonus del 70% (quello già confermato per il 2024), che potrà salire fino al 100% per gli incapienti.

Fonte: Il Sole 24 Ore

La collaborazione esclude il reato di dichiarazione infedele

Escluso il reato di dichiarazione infedele per chi aderisce al regime di adempimento collaborativo a condizione che l’impresa tenga un comportamento in tal senso e comunichi preventivamente ed esaurientemente i possibili relativi rischi fiscali. È questa una delle misure che emerge dalle modifiche approvate alla legge delega di riforma fiscale.

Già la versione originaria del Ddl prevedeva la rilevanza dell’adesione al regime di adempimento collaborativo rispetto al reato di dichiarazione infedele.

Veniva infatti prevista l’individuazione, da parte del legislatore delegato, di specifiche misure di alleggerimento delle sanzioni penali tributarie, e segnatamente quelle per la dichiarazione infedele, nei confronti dei contribuenti aderenti al regime dell’adempimento collaborativo che avessero tenuto comportamenti non dolosi e comunicato preventivamente, in modo tempestivo ed esauriente, l’esistenza dei relativi rischi fiscali.

Ora, invece, si passa da «misure di alleggerimento», che lasciavano presagire una mitigazione dell’apparato sanzionatorio, alla esclusione del reato: tuttavia, per conseguire tale beneficio occorre un comportamento collaborativo e non più semplicemente «non doloso».

Così il reato di dichiarazione infedele (articolo 4 Dlgs 74/2000), secondo la nuova norma, non dovrebbe scattare in presenza delle seguenti circostanze:

•adesione al regime dell’adempimento collaborativo

comportamenti collaborativi verso l’amministrazione

comunicazione preventiva ed esauriente all’amministrazione dell’esistenza dei relativi rischi fiscali .

L’intento del legislatore appare chiaro: viene escluso il delitto di dichiarazione infedele, nei confronti di quei contribuenti che aderendo allo speciale regime si sono, in altre parole, “aperti” all’amministrazione, hanno condiviso con questa determinate scelte fiscali e contabili ed hanno comunicato esaurientemente i vari rischi fiscali tenendo quindi un comportamento collaborativo.

La nuova previsione sembra più costituire l’esplicitazione di una garanzia (giù implicitamente esistente nell’ordinamento) volta ad incentivare l’adesione al regime collaborativo, che una vera e propria novità sotto il profilo penale tributario.

Già oggi, infatti, il vigente sistema penale tributario escluderebbe la punibilità di quegli imprenditori che verrebbero a trovarsi nelle condizioni ora espressamente disciplinate, per almeno due ordini di ragioni:

1 la dichiarazione infedele, come tutti i reati tributari, costituisce un delitto (e non contravvenzione), con la conseguenza che è punito solo a titolo di dolo (elemento soggettivo) in assenza del quale il reato è escluso. Nella specie, ben difficilmente pare ipotizzabile una condotta dolosa in capo a chi, aderendo al regime collaborativo, abbia non solo tenuto un comportamento cooperativo ma addirittura comunicato i rischi fiscali relativi;

2 la vigente fattispecie del delitto di dichiarazione infedele al comma 1 bis (dell’articolo 4 Dlgs 74/2000) già prevede l’esclusione della responsabilità penale in presenza dell’indicazione in bilancio o in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, dei criteri concretamente applicati, o comunque in caso di violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali. Probabilmente in tale esclusione già oggi vi rientrano i contribuenti che optano per il regime collaborativo.

In presenza di comportamenti fraudolenti invece non verrebbe mai meno la punibilità dell’imprenditore, che resterebbe perseguibile a seconda della violazione commessa per dichiarazione fraudolenta con utilizzo di false fatture o con altri artifizi.

A questo proposito, mentre l’ipotesi di falsa documentazione non si presta a dubbi interpretativi, qualche perplessità si potrebbe presentare per la dichiarazione fraudolenta con altri artifizi caratterizzata, tra l’latro, da condotte simulatorie o da altri mezzi fraudolenti.

Si rischia, quindi, che, in presenza di illeciti ascrivibili ad imprese che hanno optato per il regime di adempimento collaborativo, gli addetti ai controlli provino a ricondurre dette violazioni nel campo della fraudolenza e/o della condotta simulata onde evitare l’esclusione della punibilità.

Sotto questo profilo sarebbe auspicabile che il legislatore delegato individui, nel modo più chiaro possibile, le violazioni “coperte” dalla nuova norma e non punite ai fini penali (cioè a dire quelle per le quali operi l’esclusione della punibilità) in modo da poter, conseguentemente dedurre, le condotte, che, al contrario, potrebbero essere perseguite rientrando nel più grave reato di dichiarazione fraudolenta.

Fonte: Il Sole 24 Ore

Ristrutturazione con norma anti antielusiva

Il 19 luglio il Senato ha approvato il disegno di legge di conversione in legge del Dl 69/2023 (“salva infrazioni”). Il testo, in discussione alla Camera, prevede all’articolo 1-bis per gli accordi di ristrutturazione, al fine di assicurare «adeguata tutela ai creditori pubblici non aderenti», l’applicazione dell’omologazione forzosa ai soli accordi di carattere non liquidatorio. Cosa più importante, la norma richiede che il credito degli altri creditori aderenti sia pari ad almeno un quarto dell’importo dei crediti e che il soddisfacimento dei creditori pubblici, compresi accessori e sanzioni, non sia inferiore al 30% (comma 2). Ove non sia rispettata la soglia di un quarto dei creditori aderenti (diversi da agenzie fiscali e gestori di previdenza obbligatoria), la proposta di soddisfacimento per i creditori istituzionali sale al 40% (comma 3).

La norma – che riguarda i soli accordi di ristrutturazione – preclude che il tribunale possa forzosamente sostituirsi ai creditori istituzionali – che non contraggono obbligazioni non negoziali ma ex lege – nell’approvazione dell’accordo, avuto riguardo al solo differenziale satisfattivo liquidatorio, ove l’accordo mostri un significativo squilibrio dello stock dei debiti scaduti rispetto agli altri debiti commerciali aderenti e non assicuri adeguato soddisfacimento ai creditori pubblici.

Si scoraggiano, con questa norma, “corse al ribasso”, in cui il debito fiscale e contributivo viene a costituire la quasi totalità (o, come avvenuto in alcuni casi, la totalità) dei crediti non aderenti, confidando nella scarsa celerità riscossiva di questi creditori, che non fruiscono di adeguati sistemi di monitoraggio dei crediti deteriorati. La disposizione ha chiaro sapore antielusivo, disegnando soglie di accesso forse troppo penalizzanti e che ricordano quelle che blindavano, sotto il vigore della vecchia disciplina, la proposta del debitore dalle proposte concorrenti (si veda l’articolo 163, comma 5 della legge fallimentare), ma che già l’articolo 90 del Codice della crisi ha ragionevolmente mitigato, abbassandole al 30% e al 20% in caso di accesso alla composizione negoziata. La norma chiarisce, poi, che il termine per l’opposizione decorre, per i creditori pubblici, dall’avviso da parte del debitore dell’intervenuto deposito dell’accordo di ristrutturazione con transazione fiscale (comma 4) e specifica che il termine per aderire alla transazione fiscale da parte dei creditori istituzionali è di 90 giorni dalla proposta di transazione (comma 5), così consentendo di depositare accordi di ristrutturazione condizionati all’assenso da parte delle Agenzie, tema sinora controverso in giurisprudenza (si veda Il Sole 24 Ore del 14 marzo 2023 e tribunale di Ferrara 28 giugno 2023).

Fonte: Il Sole 24 Ore

Mercato della casa in frenata, compravendite giù del 12%

Appannamento, è questa la parola usata da Nomisma per definire la attuale situazione del mercato residenziale nelle 13 principali città italiane. Dissolta l’euforia post-pandemica, che aveva spinto molti a cercare una casa più consona alle esigenze emerse durante i lockdown, siamo entrati in una fase riflessiva, connotata da diverse problematiche di ostacolo all’accesso alla casa.

La perdita di potere d’acquisto delle famiglie e il rialzo dei tassi di interesse «hanno di fatto messo fuori gioco una quota considerevole della domanda potenziale con conseguenze rilevanti sui mutui erogati e sul numero di compravendite residenziali» si legge nell’Osservatorio sul Mercato Immobiliare 2023 di Nomisma che ha analizzato le performance immobiliari di città come Milano e Roma, Genova, Firenze, Bologna, Bari, Cagliari, Catania, Napoli, Padova, Palermo, Torino e Venezia.

L’inflazione scende troppo lentamente per averne beneficio, e secondo Nomisma questo contribuirà a deprimere ulteriormente il potere di acquisto delle famiglie, che dovranno continuare a ridurre la propensione al risparmio ed attingere alle riserve accumulate durante il periodo di pandemia per poter mantenere i livelli di consumo desiderati e gli stili di vita a cui avevano dovuto rinunciare durante le restrizioni imposte dalla diffusione del Covid-19. «Il quadro è fragile» sottolinea Luca Dondi, ad di Nomisma. Non solo. «L’evoluzione dei salari contenuta comporta una difficoltà di risparmio, ma anche il credito non è più un elemento di compensazione».

«L’inflazione core resta elevata – dice Lucio Poma, chief economist di Nomisma -, la politica monetaria non è riuscita a far scendere la componente non transitoria». Ma questo non intacca la fiducia delle famiglie, come indica proprio Poma. «Le imprese sono più guardinghe» ribadisce Luca Dondi.

Ma il quadro è meno fosco di quanto potrebbe apparire. Le manifestazioni di interesse oggi sono coerenti con la fiducia. Dopo un 2022 in cui il mercato ha registrato quasi 800mila transazioni, nel 2023 le compravendite scenderanno a quota 687mila (-12,4% sull’anno prima), per poi ridursi a 633mila nel 2024 e scendere a quota 624mila nel 2025. La situazione di rallentamento delle compravendite è più evidente a Milano e Bologna, per esempio, dove il mercato aveva corso di più. «Alcuni mercati evidenziano affaticamento – dice Dondi -, se allarghiamo l’analisi ad altri indicatori (tempi di vendita e così via), ci sono mercati che veleggiano ancora in crescita, tra cui per esempio Padova». Ci sarà un inevitabile ma molto contenuto rallentamento della crescita dei valori: +1,6% nel 2023 e poco più dell’1% nel successivo biennio.

La scelta della Bce di applicare una politica monetaria restrittiva per limitare la dinamica inflattiva frena le erogazioni di mutui. Le nuove erogazioni sono scese nel terzo trimestre del 2022 dell’1,5%, per intensificarsi nel quarto trimestre (-12,8%). Il 2023 chiuderà con un calo del 24,6%. «La discesa di domanda di credito sembra essersi arrestata – dice Dondi -, restiamo in una fase di rallentamento dell’immobiliare ma con timidi segnali di miglioramento».

Negli ultimi dieci anni, poi, si sono ridotti progressivamente i tempi di vendita, indice del livello di liquidità del mercato, ma la tendenza si è interrotta e i tempi di cessione di un immobile tornano a crescere. Nello specifico, i tempi si sono allungati nei mercati di Bologna, Firenze e Roma.

Diversa la situazione per gli affitti. «Complessivamente le abitazioni locate nel 2022 ammontano a poco meno del 6% dello stock disponibile» dicono da Nomisma. Nello specifico, la componente delle locazioni di medio-lungo periodo fa segnare una flessione, con un calo superiore al 4% per i contratti ordinari e una riduzione dell’1,5% per quelli di tipo agevolato. La componente di breve periodo, al contrario, vede aumentare dello 0,6% gli immobili locati a canone libero.

Considerando i valori locativi, la maggiore pressione della domanda ha determinato nel primo semestre dell’anno una crescita del +1,7%. Le variazioni più importanti riguardano i mercati di Cagliari, Catania, Padova e Torino (+2%), fino ad arrivare al +3,7% rilevato a Bologna. «La tensione abitativa si manifesterà nuovamente pesante a settembre – spiega Luca Dondi -. Manca la strategia per fare fronte alla domanda degli studenti». Intanto si intensifica un fenomeno preoccupante, ossia l’atteggiamento dei proprietari più attratti a forme di locazione non tradizionale. «C’è una quota enorme di patrimonio che non entra nel circuito della locazione» conclude Dondi. L’aumento più sostenuto dei canoni ha comportato un innalzamento dei rendimenti medi, che in media sono dell’ordine del 5,2% lordo annuo.

Nomisma sottolinea anche come negli ultimi dieci anni i tempi medi per locare un’abitazione si siano dimezzati, passando da 4 a 2 mesi. Il mercato più liquido è quello di Bologna, dove per affittare un’abitazione sono necessari soltanto 1,2 mesi.

Secondo Nomisma, con l’aggiunta della componente degli aspiranti proprietari, che temporaneamente si trovano esclusi dalla possibilità di acquisto di un immobile, il comparto della locazione in futuro si rivelerà in tutta la sua inadeguatezza. La domanda composta da famiglie, lavoratori, studenti e turisti compete, infatti, per un’offerta privata troppo esigua e sempre più orientata a privilegiare soluzioni più remunerative, quali gli affitti brevi. Da quanto emerge dall’Osservatorio, gli investitori istituzionali potrebbero coprire almeno in parte il fabbisogno abitativo in locazione.

Fonte: Il sole 24 ore

,

Privacy, oltre 1.300 violazioni dei dati Tra i più colpiti professionisti e Pmi

Li chiamano “data breach” (letteralmente “violazione dei dati”). Sono una violazione di sicurezza che comporta in modo illecito la distruzione, la perdita, la modifica, la divulgazione non autorizzata o l’accesso a informazioni personali trasmesse, conservate o comunque trattate. Ed è proprio su questo fenomeno che ha posto l’accento la relazione dell’attività svolta dal Garante per la protezione dei dati personali, illustrata ieri a Roma presso l’Aula dei Gruppi parlamentari della Camera.

Nel 2022 sono stati notificati all’Autorità da parte di soggetti pubblici e privati 1.351 data breach. Nel settore pubblico (31,2 % dei casi), le violazioni hanno riguardato soprattutto comuni, istituti scolastici e strutture sanitarie; nel privato (68,8% dei casi) sono stati coinvolte sia piccole e medie imprese e professionisti che grandi società del settore delle telecomunicazioni, energetico bancario e dei servizi. Nei casi più gravi sono stati adottati provvedimenti di tipo sanzionatorio.

Nel complesso sono stati adottati 442 provvedimenti collegiali. L’Autorità ha fornito riscontro a 9.218 reclami e segnalazioni riguardanti, tra l’altro il marketing e le reti telematiche; i dati online delle Pa; la sanità; la sicurezza informatica; il settore bancario e finanziario; il lavoro. I pareri resi dal Collegio su atti normativi e amministrativi sono stati 81 e hanno riguardato la digitalizzazione della Pa; la sanità; il fisco; la giustizia; l’istruzione; funzioni di interesse pubblico. Sono stati una dozzina i pareri su norme di rango primario: riguardo a digitalizzazione della Pa, giustizia, sanità e lavoro. Le comunicazioni di notizie di reato all’autorità giudiziaria sono state 5 e hanno riguardato violazioni in materia di controllo a distanza dei lavoratori e falsità nelle dichiarazioni e notificazioni al Garante. I provvedimenti correttivi e sanzionatori sono stati 317.

Sul piano delle sanzioni sono stati riscossi circa 9 milioni 500 mila euro. Le ispezioni effettuate sono state 140, quasi triplicate rispetto a quelle dell’anno precedente in cui ancora si subiva l’impatto dell’emergenza Covid. Gli accertamenti svolti, anche con il contributo del Nucleo speciale tutela privacy e frodi tecnologiche della Guardia di finanza, hanno riguardato diversi settori: telemarketing, cloud pubblico, siti web ed uso dei cookie, videosorveglianza, anche sul posto di lavoro. Effettuate le verifiche periodiche al VIS (Visa Information System), il sistema sui visti d’ingresso nello spazio Schengen.

Gli oltre 16.400 quesiti inviati al Garante hanno riguardato, in maniera preponderante, gli adempimenti connessi all’applicazione del Regolamento Ue e all’attività dei Responsabili del trattamento, seguiti dalle questioni legate al telemarketing indesiderato; al rapporto di lavoro pubblico e privato; alla videosorveglianza; alle problematiche poste dal web; alla salute e alla ricerca.

Nella relazione introduttiva, il presidente Pasquale Stanzione ha affrontato temi ad ampio raggio: dall’intelligenza artificiale («va bene ma si tuteli la dignità della persona» alle neotecnologie («serve uno statuto, giuridico ma anche etico»), dal sì a norme che garantiscano l’oblio oncologico alla necessità di stabilire «una soglia di accesso autonomo dei minori alla rete per impedire i rischi della solitudine digitale». E ha sottolineato che tra le «criticità del capitalismo delle piattaforme» c’è «la tendenza alla remunerazione del consenso al trattamento dei dati personali, assunto come parte di uno scambio tra dati e servizi».

FONTE: IL SOLE 24 ORE

, ,

Cassa dottori commercialisti, sostenibilità di conti e pensioni

I dottori commercialisti liberi professionisti nel 2022 hanno visto crescere i propri redditi, confermato la tendenza alla femminilizzazione della professione e mostrato una crescente attenzione al loro futuro previdenziale. È la fotografia scattata da Cassa dottori commercialisti alla categoria nell’anno appena trascorso.

Nel 2022 il reddito medio degli iscritti alla Cassa passa da 68.000 a 74.330 euro mentre il volume di affari si attesta a 131.293 a fronte dei 120.230 del 2021. Se si guarda alla composizione per genere, la forbice tra uomini e donne resta ampia, ma va tendenzialmente restringendosi. Il reddito medio delle commercialiste è passato dai 43.600 del 2021 a 47.800 euro nel 2022 e il volume di affari da 71.200 a 78.400 euro, con un incremento pari, rispettivamente, al 9,6% e al 10,1 per cento. Per gli uomini il reddito passa da 80.200 a 87.700 (+ 9,4%), mentre il volume di affari segna un + 9,1% e sale a 157.900 euro, era 144.700 euro nell’anno precedente.

Il numero degli iscritti al 31 dicembre 2022 è pari a 72.817 (+1% rispetto al 2021), 2.046 sono le nuove leve.

Nel 2022 la platea degli iscritti, al netto dei 5.877 pensionati attivi, ha un’età media è intorno ai 48 anni (50 per gli uomini, 46 per le donne). Rispetto al numero totale degli iscritti, l’incidenza femminile continua a crescere. Nel 2022 è pari al 33,3% (era del 33,2% nel 2021) con 24.248 professioniste, a fronte di un numero di colleghi uomini pari a 48.569. La percentuale di donne sale al 41,6% tra gli iscritti nell’ultimo quinquennio.

Cassa dottori commercialisti compie quest’anno 60 anni. Nel primo anno di vita gli iscritti alla Cassa erano 1.195 (incluse 15 donne) e alla fine del 1964 il patrimonio dell’ente superava di poco i tre milioni e mezzo di lire (pari a 45.989 euro attuali). Al 31 dicembre 2022 gli iscritti sono quasi 73mila e il patrimonio ammonta a 10,53 miliardi.

L’ente di previdenza della categoria ha deciso di ricordare i passaggi salienti della sua attività nel Reputational report 2022 che viene presentato oggi nel corso del Forum in previdenza 2023 il cui titolo è «Orientare la sostenibilità in un mondo che cambia».

Tra le date più significative c’è il 2004, anno in cui la Cassa, per garantire la sostenibilità nel lungo periodo ha deciso il passaggio dal sistema di calcolo retributivo a quello contributivo. Da allora Cassa dottori ha avviato una serie di interventi per garantire agli iscritti che andranno in pensione con il «meno generoso ma più sostenibile contributivo» pensioni adeguate. Tra le strategie messe in campo ci sono il riversamento di parte del contributo integrativo sul montante individuale (per chi avrà il calcolo solo contributivo il 25% dal 2013 al 2022 e il 37,5% dal 2023 al 2032) e l’attribuzione al montante individuale della riserva extra-rendimento effettuata la prima volta nel 2015 per un importo pari a 77 milioni; poi nel 2019 con 121,5 milioni.

La Cassa nel 2015 ha messo a disposizione degli iscritti il simulatore della pensione (Pes), un programma che consente agli iscritti di effettuare diverse simulazioni per comprendere l’entità della futura pensione e la sua “elasticità” al variare di: reddito e volume di affari, percentuale di contribuzione ed età del pensionamento.

La Cassa ha inoltre studiato un sistema premiale per chi decide di versare una contribuzione soggettiva superiore al minimo (pari al 12%). Nel 2022 sono 34.624 gli iscritti che hanno versato delle eccedenze soggettive maggiori rispetto all’anno precedente e 4.205 gli iscritti che hanno optato per un’aliquota maggiore rispetto al 2021. L’aliquota media di contribuzione dal 2013 è in costante aumento e nel 2022 è stata pari a 13,52 per cento.

Negli ultimi dieci anni Cassa dottori ha ampliato gli interventi di assistenza e welfare verso gli iscritti, ampliando la gamma degli aiuti non più limitati a situazioni contingenti, come la malattia o le calamità naturali, ma anche a supporto della famiglia e della professione; nel 2022 l’investimento in welfare è stato di 21 milioni, il 40% in più rispetto ai 15 milioni del 2018; il “picco” si è però raggiunto nell’anno del Covid quando in assistenza la Cassa ha investito più di 23 milioni.

Fonte: Il Sole 24 Ore