Sarà pure stato guidato in gran parte da una sorta di illusione ottica dovuta all’effetto base il ritorno dell’inflazione al tasso annuo del 3% negli Stati Uniti, ma il mercato mostra di prenderlo molto sul serio: corre a rifare i conti sulle future mosse della Federal Reserve sui tassi e aggiusta immediatamente i portafogli. Si spiega in fondo così l’ulteriore avanzata delle Borse (a Wall Street, come in Europa dove Piazza Affari ha guadagnato l’1,75%), l’arretramento dei rendimenti obbligazionari (con il decennale Usa al 3,85%, il Bund al 2,54% e il BTp al 4,26%) e il deprezzamento del dollaro a totale vantaggio di un euro che è tornato sui massimi dello scorso maggio ben oltre quota 1,10.
Gli investitori non sono in effetti preda di un’improvvisa e ingiustificata forma di avidità, perché le indicazioni fornite dai prezzi al consumo Usa di giugno risultano in fondo inferiori alle attese sia in generale, sia soprattutto per la componente core che mostra un indice è sceso ai minimi dal 2021 al 4,8 per cento. «Questa flessione sembra segnalare un’attenuazione delle vertiginose impennate dei prezzi registrate di recente, e suggerisce che le interruzioni nella catena degli approvvigionamenti e il boom del mercato delle auto usate indotto dalla carenza di semiconduttori, iniziano a stabilizzarsi, riducendo una delle principali pressioni al rialzo sull’inflazione», fa notare a questo proposito Jon Maier, responsabile degli investimenti di Global X, prima di giungere alla conclusione che i dati «potrebbero rendere più difficile giustificare un ulteriore rialzo dei tassi e convincere la Fed ad adottare un atteggiamento meno aggressivo».
In realtà un’ulteriore stretta da parte della Banca centrale Usa nell’ormai vicina riunione del prossimo 26 luglio (dopo la pausa effettuata a inizio giugno) sempre essere pressoché inevitabile. «È improbabile che l’attenuazione delle pressioni inflazionistiche a giugno impedisca di aumentare i tassi di 25 punti base, dato che la mossa era stata ampiamente preannunciata nelle ultime settimane», riconosce Edoardo Campanella, economista di UniCredit. I livelli dei tassi sul mercato monetario assegnano del resto una probabilità implicita del 92% a un evento simile, mentre la mossa successiva di settembre viene messe sempre più in discussione: dal 23% di possibilità del giorno precedente siamo scesi a poco più del 13% proprio per effetto delle cifre sui prezzi al consumo.
«Anche se le prossime letture dell’inflazione potrebbero essere volatili in entrambe le direzioni – avverte comunque Campanella – il dato di giugno rafforza la nostra opinione secondo cui è difficile che la Fed aumenti i tassi dopo l’estate e che possa iniziare a tagliarli all’inizio del 2024». Non sarà forse questo lo scenario «riccioli d’oro» sul quale gli investitori sembrano confidare ormai da tempo, perché esiste in effetti ancora un rischio recessione pesante da scongiurare, ma di sicuro si avvicina molto a quello che si spera possa essere un mondo ideale per gli investimenti. E la reazione di ieri di azioni, bond e valute lo conferma, almeno per il momento.
Fonte: Il Sole 24 Ore