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Dal Politecnico di Torino la soluzione per scaldare le case con il calore accumulato in estate

Di
Redazione
|
19 Settembre 2020

Dal Politecnico di Torino la soluzione per scaldare le case con il calore accumulato in estate

Di Vittorio Sangiorgi (Direttore del Quotidiano dei Contribuenti)


Nel prossimo futuro le case si potranno scaldare grazie al calore accumulato d’estate, lo dice un gruppo di ricercatori del Politecnico di Torino che ha messo a punto un nuovo materiale utile allo scopo.  Le risultanze di questa importante ricerca sono state pubblicate sulla rivista “Scientific Report”.

L’esigenza di trovare soluzioni innovative per riscaldare case ed ambienti di lavoro, lo sappiamo bene, nasce dal fatto che, ad oggi, per questo processo si sfrutta circa un terzo di tutta l’energia finale consumata in Europa. Questo importante fabbisogno, attualmente, viene coperto per il 75% da combustibili fossili. Il lavoro portato avanti dai dipartimenti di Scienza Applicata e Tecnologia (DISAT) e di Energetica (DENERG) del Politecnico di Torino e dall’Istituto di Tecnologie Avanzate per l’Energia del CNR (CNR-ITAE), suggerisce un’interessante alternativa, che ha il vantaggio di sfruttare una fonte pulita e rinnovabile, ovvero la luce solare da trasformare in energia termochimica.

Lo studio, infatti, ha dimostrato la possibilità di sviluppare calore idratando il sale inserito nei pori del cemento. Tale soluzione, come spiegano i ricercatori, consentie di superare la maggiore criticità delle fonti rinnovabili, ovvero la discrepanza tra il surplus energetico e i picchi di domanda giornalieri ed annui. L’energia solare, ad esempio, è abbondantemente disponibile nei mesi estivi, ma “viene meno” in quelli invernali, nei quali, chiaramente, si concentra la richiesta di riscaldamento delle case. Servono, allora, dei sistemi di accumulo economici, che permettano di sfruttare nei mesi più freddi tutto il calore immagazzinato d’estate. Ecco, quindi, il materiale sviluppato dai ricercatori che, come si diceva, puntano tutto sulla termochimica.

Lo spiega bene Luca Lavagna, assegnista di ricerca del Dipartimento Scienza applicata e Tecnologia del Politecnico e primo autore della ricerca:

Provate a sciogliere in un bicchiere di acqua un buon quantitativo di sale, quello che noterete è che il bicchiere con alcuni tipi di sale si scalda e con altri si raffredda. Un fenomeno simile è alla base del nostro materiale, solo che al posto di acqua allo stato liquido noi utilizziamo vapore acqueo senza sciogliere il sale. Il vapore acqueo interagisce con il sale sviluppando calore e, una volta completamente idratato, il sale potrà ritornare alla situazione di partenza eliminando l’acqua che interagisce con il sale semplicemente essiccando il materiale.Questo tipo di reazione è nota da tempo e i materiali ad accumulo termico sono in parte già stati sviluppati, quello che limita il loro utilizzo attualmente è il costo. Ad esempio, una zeolite, che è uno dei migliori materiali dal punto di vista termico, può arrivare a costare fino a diverse decine di euro al kilogrammo. Ciò significa avere un costo insostenibile per stoccare l’energia necessaria a scaldare una stanza o un intero edificio. Il cemento come matrice per ospitare gli idrati salini è un materiale molto interessante, in quanto è ben noto, facilmente disponibile e a basso costo“.

Ed è proprio l’uso del cemento l’aspetto più importante ed innovativo della ricerca, soprattutto in considerazione del rapporto costo – quantità di energia sviluppata. Il lavoro che vi abbiamo raccontato, dunque, lascia immaginare significativi sviluppi in futuro, ormai, sempre più vicino.

 

 

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Fonte: Dal Quotidiano dei contribuenti
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