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Consiglio europeo: dai vaccini alla next generation

Di
Redazione
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1 Marzo 2021

Consiglio europeo: dai vaccini alla next generation

Il Recovery Plan non può limitarsi a concepire l’investimento in educazione ed istruzione solo come edificazione di strutture, ma deve dare corso ad una storica, grande manovra riformatrice del sistema educativo

di Antonino Gulisano

Nel Consiglio europeo svoltosi nei giorni scorsi in videoconferenza, Mario Draghi ha esordito nelle vesti di premier italiano ed ha indicato con decisione la strada del fare presto. Dall’ex numero uno della Bce è arrivato l’invito ai partner europei ad accelerare sui vaccini per far ripartire l’intera Unione Europea.

Una due giorni di videoconferenza per discutere sulla pandemia e trovare una linea comune sia per quanto riguarda le restrizioni che la campagna vaccinale.“La nostra strategia sui vaccini – si legge nella bozza – ha garantito che tutti gli Stati membri abbiano accesso ai vaccini, ma dobbiamo accelerare con urgenza l’autorizzazione, la produzione e la distribuzione di vaccini, nonché la vaccinazione. C’è, inoltre, la necessità di migliorare la nostra capacità di sorveglianza e rilevamento al fine di identificare le varianti il primo possibile in modo da controllarne la diffusione”. È stato proposto lo stop all’export dei vaccini in caso di mancato rispetto della consegna delle dosi da parte dell’azienda farmaceutica. Un pugno duro fortemente richiesto dal premier Draghi per mettere pressione alle multinazionali, anche se sul punto non si è raggiunto un accordo unanime.

Nello sfondo del vertice UE sul tema della velocizzazione dei vaccini per lapopolazione, si istalla la questione della Next generation (La nuova generazione) come tema di fondo e colonna sonora dello sviluppo della futura Europa.

La pandemia da Covid-19 ha colpito la nuova generazione giovanile della società italiana, ma anche in termini di occupazione femminile. Dei 444.000 posti di lavoro perduti in Italia nel 2020 oltre 300.000 sono femminili. Inoltre, il contesto demografico italiano era già, davvero, molto preoccupante. Il tasso di figli per donna del 2017 era 1,34, nel 2018 1,29 e nel 2019 scendeva a 1,27; si tenga conto che nel 2010 era a 1,46. I nati nel 2019 ammontavano a 420.084. Se solo consideriamo che rispetto al 2018 sono crollati di 20.000 unità e rispetto al 2008 addirittura di 152.000 unità, ci possiamo rendere conto di che cosa stia accadendo nel nostro Paese.

Appare evidente che su questo tema il Recovery Plan (atteso che il Recovery Fund prevede una dotazione finanziaria stimata nel doppio di quella che caratterizzò il Piano Marshall del secondo dopoguerra) avrebbe dovuto prevedere una strategia per il Paese ed un grande investimento in capitale umano. Non era così nella prima versione e non lo è nemmeno nella versione approvata il 12 gennaio scorso dal Governo dimissionario, che pure aveva inserito un cluster di azioni più adeguate in materia di istruzione ma palesemente prive di visione strategica.

È cruciale per il nostro Paese aumentare il peso del lavoro femminile. Secondo la Banca d’Italia, se l’occupazione aumentasse ai livelli europei il nostro Paese beneficerebbe di 7 punti percentuali di PIL. Connessa a questo tema vi è la necessità di superare la grave incertezza dei giovani che non stanno scommettendo, a causa dei gravi effetti sanitari ed economici della pandemia, sul loro futuro famigliare e reddituale.

Tuttavia, investire non può limitarsi a voler dire costruire nuovi servizi attendendo i tempi di costruzione e poi di avvio dei servizi stessi. In una situazione post pandemica serve immediatezza dell’investimento. È dunque necessario incrementare fin da subito di centinaia di migliaia i posti disponibili nel segmento 0-6 e questo può essere fatto per il tramite delle scuole d’infanzia, che sono la spina dorsale del sistema educativo pubblico per i più piccoli.

Investire in istruzione nel segmento 0-6 anni significa mettere immediatamente a disposizione delle famiglie italiane – e di quelle che si vogliono formare – un grande sistema educativo che ponga le condizioni per restituire l’enorme debito pubblico prodotto, investendo sul capitale umano di quelle generazioni che saranno gravate dalla sua restituzione.

Altra faccia del sistema formativo è quella dell’istruzione superiore tecnica, specie del segmento 4.0 della tecnologia TLC. Con un’adeguata dotazione economica per le scuole d’infanzia pubbliche territoriali, che sono la leva di politica educativa più immediata nel segmento 0-6 alle condizioni attuali. Per il segmento della istruzione tecnica superiore, con trasferimenti diretti da parte dello Stato o con la gestione diretta delle scuole d’infanzia da parte delle regioni e degli enti locali. Mentre per l’istruzione superiore tecnica con il metodo IFTS in ATS (associazioni temporanea di scopo), gli istituti tecnici, l’Università, le imprese e gli enti locali devono essere dotati di risorse finanziarie dirette e monitorati costantemente nell’uso e negli obiettivi.

Recovery Plan, dunque, non può limitarsi a concepire l’investimento in educazione ed istruzione intendendolo solo come edificazione di strutture. Sarebbe limitante e di limitato impatto nel breve periodo. Il Recovery Plan deve rappresentare un momento ancora più ambizioso. Se non ora quando? È necessario dare corso ad una, storica grande manovra di investimento educativo con le dotazioni finanziarie oggi a disposizione, stabilendo immediatamente la generalizzazione della scuola, da quella d’infanzia a quella della istruzione tecnica superiore. L’approdo alla gratuità per tutti dei servizi educativi e della scuola, da quella d’infanzia a quella tecnica superiore post diploma consentirebbe di superare il target fissato dal Consiglio europeo di Barcellona del 2002. Aumentare la qualità del capitale umano attraverso l’istruzione crea rendimento sociale e crescita in grado di sostenere il Pil. È un investimento in grado di mutare le sorti di un’intera nazione ma soprattutto è una dotazione finanziaria che impegna anche al “debito buono” e pone le condizioni per restituire il futuro alle giovani generazioni.

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Source: Da QdC ad Imprese
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