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CENT’ANNI DOPO

Di
Redazione
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16 Dicembre 2020

 di Renato Costanzo Gatti

Cento anni fa, sulle macerie della prima guerra mondiale, nella nostra nazione, ma anche in tutto il mondo, dilagava un vasto malcontento di massa; si presentava per molte famiglie il terrore di mancanza di futuro, di incombente povertà generalizzata e dopo le sterili manifestazioni del “diciannovismo” cominciava a profilarsi, come probabile, l’azione di chi, il nascente partito fascista, riuscisse a cavalcare questo generalizzato scontento, esasperandolo in paura collettiva, facendone  base di consenso per la presa di potere. Il libro di Scurati, di cui è in uscita il secondo dei tre volumi (Antonio Scurati, “M l’uomo della Provvidenza, Bompiani) è estremamente istruttivo al proposito.

Non ritengo azzardato pensare ad un parallelo tra quanto successo cento anni fa e quello che sta succedendo ai giorni nostri; il Covid è l’ultima causa di paura (ammantata da quel tanto di mistero irrazionale che richiama alla mente non tanto il Manzoni dei Promessi Sposi, quanto i casi di peste del 1600), che si va ad assommare ai disastri di trent’anni di mancata crescita economica, di afasia della produttività dal disastro del 2007, una crisi che certifica lo stato di avanzata cancrena del capitalismo finanziario. Si aggiunga, da ultimo, la drammatica analisi di Mario Draghi sulla nostra situazione economica. Il duemila inizia quindi con i peggiori auspici (le torri gemelle) e si incarta in contraddizioni che si autoalimentano, cui si aggiunge il crollo del funzionamento delle democrazie.

Si pensi, in primo luogo, a quello che sta succedendo negli USA a seguito delle elezioni presidenziali, con un presidente che rifiuta di riconoscere la sua sconfitta denunciando che i sistemi automatici di conta dei voti sbaglierebbero nel 68% dei casi (10.000 dati errati su 15.000 espressi), e ciò in uno stato governato dai repubblicani.

E poi ciò che succede in Italia, dove la dialettica governo centrale-regioni rischia di tramutarsi in ingovernabilità, dove in Calabria votano anche i morti e dove le ambizioni elettoralistiche di un quasi-partito al governo, ne mettono a rischio la sopravvivenza esponendo il paese ad avventurismi dagli incogniti sbocchi.

Non c’è dubbio che in questa situazione una svolta autoritaria, del tipo di quella di cento anni fa, non è affatto un’ipotesi azzardata, anzi diventa altamente possibile. Per evitare questa eventualità occorre che le forze democratiche si attrezzino da subito. Senza fare una scissione come avvenne a Livorno nel 1921.