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Borse, le banche assorbono l’effetto tassa: 1 miliardo di capitalizzazione in meno

Di
Redazione
|
31 Agosto 2023

Il mercato sembra proprio aver preso le misure all’introduzione di una tassa una tantum sugli extraprofitti realizzati dalle banche italiane negli ultimi anni per l’aumento dei margini di interesse dovuto al rialzo dei tassi. Il mezzo terremoto provocato a Piazza Affari poco più di tre settimane dopo l’annuncio è stato infatti quasi interamente assorbito: i prezzi di molti titoli del settore finanziario viaggiano ormai su livelli superiori a quel fatidico 7 agosto e la potenziale perdita di capitalizzazione si è ridotta a livello di sistema dai quasi 10 miliardi di euro della prima seduta a poco più di un miliardo ieri.

Ciò non toglie che gli esperti delle banche d’affari restino in attesa di novità da parte del governo italiano e siano comunque all’opera per cercare di capire il reale impatto dell’imposizione fiscale su ciascuno degli istituti di credito nazionali. Si moltiplicano quindi le simulazioni sulla base delle diverse ipotesi riguardo la forma che potrebbe prendere il provvedimento e che vengono quotidianamente riportate sulla stampa. La «speranza», per le banche, è che si arrivi alla deducibilità fiscale del prelievo, ma si parla anche di un possibile credito di imposta parziale o totale da far valere nei successivi 5 o 10 anni.

In caso di applicazione estesa della tassazione gli esperti di Mediobanca Securities indicano per esempio una possibile erosione del patrimonio di vigilanza Cet1 tutto sommato limitata e nell’ordine di 15-25 punti base per alcune banche, come le due big Intesa Sanpaolo e UniCredit, oltre che per Popolare Sondrio. Gli effetti sarebbero intermedi (30-35 punti base) per Banco Bpm, Bper, Mps e Credem e si moltiplicherebbero fino a 60-75 punti base per due protagonisti del risparmio gestito quali Banca Mediolanum e Fineco. Sotto l’aspetto degli utili per azione, tutto si tradurrebbe invece in un calo del 5% per UniCredit e Fineco che si estende invece al 15% per Banco Bpm, Popolare Sondrio e Credem.

Gli effetti si ridimensionebbero applicando una delle ipotesi sulla quale sta chiaramente puntando l’Abi per mitigare la portata del prelievo sugli extraprofitti. «Lo scudo fiscale ordinario ridurrebbe l’impatto del 33%, dato che gli attuali utili ante imposte sarebbero in grado di assorbirlo», spiegano gli analisti di Mediobanca Securities, segnalando un impatto sul Cet1 di conseguenza più lieve, che va dai 10-15 punti base di UniCredit e Intesa Sanpaolo ai 40-50 punti di Mediolanum e Fineco.

E se con un credito di imposta del 33% si avrebbe un risultato simile su patrimonio e conto economico a quello dello scudo fiscale considerato nell’esempio precedente, le cose cambierebbero in misura notevole a favore delle banche nello scenario per loro migliore possibile: quello di un credito di imposta che riguardi invece il 100% del prelievo e che si possa poi spalmare sui successivi 10 anni. «In questo caso – segnala Mediobanca Securities – l’effetto sul conto economico e sul capitale sarebbe trascurabile, anche se l’assorbimento effettivo potrebbe richiedere più tempo alla luce del credito d’imposta in essere».

Nel complesso, nonostante i tanti interrogativi che ancora aleggiano su di essa, l’impatto della tassazione sugli extraprofitti appare gestibile da parte delle banche italiane, soprattutto quando si tiene conto dello «sconto» di valutazione di mercato alla quale sono sottoposte rispetto alle concorrenti europee. Finora però il bilancio non è certo uguale per tutti: Intesa (-2,27%)e soprattutto Mps (-5,09%) e Fineco (-5,86%) restano ancora sotto i livelli pre-annuncio, mentre titoli come UniCredit (+0,33%), Banco Bpm (+1,14%) e Popolare Sondrio (+2,65%) si sono nel frattempo ripresi. Dopo i calcoli gli analisti sono evidentemente passati alla selezione.

Fonte: Il Sole 24 Ore